Card. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa, LXXXVII-LXXXVIII

Antichità della disciplina di recitare il salmo Judica me Deus

Card. Prospero LambertiniLXXXVII. V’è chi pensa non essere molto antica la disciplina di recitare il salmo Judica me Deus nel principio della messa. Il Vert nel 1 part. 1ª cap. 1 vuole che il salmo Judica me Deus non più di dugento anni addietro incominciasse a recitarsi nel principio della messa dalla Chiesa romana. Ma se in un messale romano più antico di cinquecento anni che ritrovasi nella biblioteca Angelica di Roma si leggono le seguenti parole: «Cum autem indutus fuerit (parlasi del sacerdote) accedat ad altare, et dicat introibo ad altare Dei R). Ad Deum atc. Psalmum Judica me Deus. Tunc inclinet se ante altare et dicat confiteor Deo» se il Micrologo descrivendo l’ordine della messa romana così dice al cap. 23 «Paratus sacerdos venit ad altare dicens introibo ad altare Dei et Psalmum Judica me Deus, post quem sequitur confessio» se tutto ciò vien confermato dal pontefice Innocenzo III nel lib. 2 De mysteriis missae al cap. 13 chiaro è lo sbaglio dell’ardito Vert. E gli autori ben pratici degli antichi documenti hanno mostrato ritrovarsi l’uso del salmo Judica me Deus nel settimo, e nell’ottavo secolo. Ma perché, ciò non ostante, alcuni dicevano l’antifona introibo, ed il salmo Judica me Deus, altri lo tralasciavano, il santo pontefice Pio V nella ricognizione del messale stabilì l’uniformità del rito, determinando, che ogni sacerdote nella messa dicesse la detta antifona, e recitasse il detto salmo.

LXXXVIII. V’è pure chi fa autore del confiteor il pontefice Ponziano; ma ciò non ha fondamento. Può ben dirsi essere apostolica tradizione che in generale si permetta un’ingenua confessione de’ propri peccati avendo anche i sacerdoti ed i profeti dell’antico testamento prima di sacrificare adoprata la seguente formula di confessione: «peccavimus, Domine, iniuste egimus, iniquitatem fecimus»; ma circa la formola speciale, della quale oggi ci serviamo nel sacrifizio della messa, non pare che possa dirsi altro se non ch’era in uso sino dall’anno 1300. Nelle liturgie di s. Giacomo apostolo e di s. Marco evangelista il sacerdote incomincia dall’accusare i propri peccati e ne domanda a Dio il perdono per sé e pel popolo. Nell’antico rito de’ Mozarabi non v’era alcuna confessione; ma vi erano altre orazioni poste in luogo del confiteor; ed il Cardinal Ximenes fu quello che ve le aggiunse. Chi vuole interamente soddisfarsi sopra ciò che insino ad ora si è detto può leggere il Cardinal Bona nel lib. 2 rer. liturgic. al cap. 2, il P. Le Brun nel cit. tom. 1 alla pag. 127 e seguenti, il Grancolas nel libro De antiquis liturgiis alla pag. 447 sino alla pag. 453 ed il P. Merati nella sua opera sopra il Gavanto alla part. 1ª tom. 1 alla p. 382 e molte altre seguenti. E solamente pensiamo potersi qui osservare, non avere gli eretici che dire contro il o il salmo Judica me Deus o la confessione in quanto si fa a Dio ed agli uomini presenti. Alcuni di essi però hanno osato di riprovare la confessione, in quanto si fa ai santi, in sequela dell’errore, che questi come lontani siccome non possono intendere le nostre orazioni, così nemmeno possono intendere le nostre confessioni: ma avendo già noi nella nostra opera De canonizatione trattato dell’invocazione de’ santi, e del modo, con cui essi hanno notizia delle nostre orazioni, diremo solo ch’essendo consapevoli i santi delle nostre orazioni, sono ancora consapevoli delle nostre confessioni che facciamo ad essi, e farsi la confessione de’ peccati avanti Iddio, che per essi è offeso e che si placa colla penitenza, ed avanti i santi che con Cristo nel fine de’ secoli sederanno giudici del mondo giusta il vangelo di s. Matteo al cap. 19: «Amen dico vobis, quod vos qui secuti estis me, in regeneratione cum sederit Filius hominis in sede maiestatis suae sedebitis et vos super sedes duodecim iudicantes duodecim tribus Israel»; e giusta la prima lettera ai Corinti al cap. 6: «An nescitis quoniam sancti de hoc mundo iudicabunt»? Nel decimo quarto ordine romano stampato dal P. Mabillon nel tom. 2 del Museo d’Italia alla pag. 529 vi è la formola del nostro confiteor, ma con l’aggiunta di alcune altre parole, leggendosi in essa: «Quia peccavi nimis cogitatione, delectatione, consensu, verbo et opere».

da P. LAMBERTINI, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 69-71.

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