Card. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa, XLVIII-XLIX

Card. Prospero Lambertini / Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa 48-49

[Pianeta]

Card. Prospero LambertiniXLVIII. Il sesto sacro indumento è la pianeta. Chiamasi ancora casula, come si vede in s. Isidoro al lib. 19 cap. 24 che così dice: «planeta graece et latine dicitur casula, quae totum hominis corpus tegit». La forma universale dell’antica pianeta era in tutto e per tutto conforme a quella della quale oggi si servono i preti greci. Era dunque l’antica nostra pianeta una veste che circondava il sacerdote dal collo ai piedi, e inviluppava le braccia e le mani; in tal maniera che per adoperare le braccia e le mani chi aveva la pianeta doveva alzarla da un lato all’altro, oppure tenerla su con qualche fibbia. Laonde Isidoro nel luogo citato così
prosiegue: «vestis cuculata, quasi minor casa, eo quod totum hominem tegat», e Rabano Mauro nel libro De institutione clericorum al cap. 21 così scrisse: «casula dicitur, vulgo pIaneta presbyteri, quia instar parvae casae totum tegit. Haee supremum omnium indumentorum est, et caetera omnia interius per suum munimen tegit et servat». Della forma delle antiche pianete trattano assai bene monsignor Rocca nel tomo 2 delle sue
Opere della nuova stampa alla pag. 568, il Giorgi De liturgia romani pontificis al tomo 1 lib. 1 cap. 24 num. 8, il P. Merati nel tomo 1 part. 1ª pag. 521 num. 52. E nella dissertazione di Giovanni Pastrizio sopra la patena d’argento di S. Pier Grisologo alla pag. 141 viene rappresentata un’antica immagine del detto santo vestito coll’antica pianeta. Sono dal Magri nel suo Vocabolario, alla parola casula, molto commendati i greci per aver mantenuta la forma dell’antica pianeta; ed il Lindano nella Panoplia sacerdotale al lib. 4 cap. 56 pag. 480 si lamenta che al suo tempo s’era incominciato a scorciare un po’ troppo la pianeta: «ita enim accisa est et decurtata, atque aliam prope in speciem deformata, ut si cum illa prisca, unde fluxit ac degeneravit, componatur, vix suum tueatur nomen». Poc’anzi abbiamo detto che, finchè durò la forma antica della pianeta ponevasi il manipolo dopo il confiteor che si dice nell’introito della messa; perchè allora alzavasi sopra le braccia del sacerdote la pianeta, il qual costume ancor oggi si mantiene dalli vescovi ancorchè sia mutata la forma della pianeta; ed ora aggiugneremo essere dall’antica forma della pianeta derivata l’usanza che essa si alzi dal ministro che serve lo messa quando il sacerdote alzando le braccia mostra l’ostia ed il calice al popolo; e mantenersi ancor oggi questo costume ancorchè sia mutata lo forma della pianeta, come ben riflette il Juenin De sacramentis alla dissert. 5 De sacramento eucharistiae quest, 8 cap. 5 § sesto ed ultimo, ove così scrive: «hinc sequitur necessario, planetam, seu casulam olim multo fuisse longiorem ae latiorem, quam nunc sit; nec enim alioquin omnes corporis partes obtegere potuisset. Eiusmodi vero veteris figurae hoc apud nos vestigium remanet, quod ubi hostia consecrata a sacerdote elevatur, minister sacrificantis casulam complicet, aut extollat, ne sacerdoti genua flectenti sit impedimento»; e concorda il Tournely nel tomo 2 De eucharistia alla pag. 385 della stampa di Parigi; e dall’antica forma della pianeta esser ancora derivata l’usanza che nella quaresima e negli altri giorni di digiuno, nei quali nelle messe cantate il diacono ed il suddiacono usano la pianeta, essa sia piegata dalla parte davanti; il che una volta facevasi perchè essendo ample le pianete, come di sopra abbiamo detto, era d’uopo piegarle dalla parte davanti acciocchè fossero più pronti e spediti per operare. Veggasi il moderno erudito Giuseppe Catalano nelle sue Note al pontificale Romano nei prolegomeni al cap. 18 num. 6 tomo 1.

XLIX. Prima che la pianeta fosse indumento sacro, non mancano monumenti per comprovare ch’era indumento profano e comune anche ai laici. Giovanni Diacono nel lib. 4 della Vita di s. Gregorio Magno al cap. 83 parlando di Gordiano e Silvia, padre e madre del santo, e descrivendo l’abito di Gordiano così dice: «cuius Gordiani habitus castanei coloris planeta est»; e S. Isidoro nella Regola al c. 13 l’ammette tra le vesti secolari: «porro linteo non licet monachum indui, orarium, birros, planetas, non est fas uti, neque illa indumenta, vel calceamenta, quae generaliter caetera monasteria abutuntur», che è lo stesso che dire, «non utuntur». Osservano gli eruditi che fu appresso gli antichi l’uso di una certa veste chiamata penula, abito proprio per viaggiare che s’introdusse anche nelle città in occasione di lutto, e che finalmente posta generalmente in uso tanto dagli uomini, quanto dalle donne, e fatta più vasta e doviziosa ed abbondante di panno in tal maniera che arrivava sino ai piedi, ed aveva forse dello strascico, restò abito proprio per le persone nobili e graduate, essendo andata in disuso la toga; e dalla penula nobile e non già da quella da viaggio vogliono che abbia avuta origine la nostra pianeta, come può leggersi appresso il signor senatore Buonarroti nelle sue Osservazioni sopra alcuni vasi di vetro alla pag. 108 e seguenti. Concordano ancora altri nel sostenere essere stata nei primi secoli la pianeta abito anche comune ai laici. Veggansi il P. Le Brun al tom. 1 pag. 52, il Vert al tomo 2 pag. 341 e seguenti. Ed il P. Le Brun sostiene che nei primi sette secoli la pianeta sia stata abito ordinario degli uomini che portavano le vesti lunghe; che il popolo lasciò quest’abito ritenendolo le persone consacrate a Dio; e che dopo novecento anni la Chiesa ha data la pianeta ai preti come abito proprio per offerire il santo sacrifizio. Ma ciò incontra qualche difficoltà, che pur troppo sempre s’incontra da chi francamente fissa o pretende di fissare il principio delle cose, e la difficoltà si deduce dal concilio toletano quarto celebrato l’anno 597 al canone 27 ove si prescrive ciò che si abbia a praticare nel reintegrare un vescovo, un prete o diacono nel loro grado, e quali siano le vesti che gli si debbano restituire: «si episcopus est, orarium, anulum et baculum; si presbyter, orarium et planetam; si diaconus, orarium et albam»; il che dimostra che molto prima la pianeta era abito proprio dei sacerdoti come anche ben riflette il senator Buonarroti nel libro citato al luogo indicato. Per adequata notizia ancora dei sacri riti basterebbe qui il ricercare quando incominciossi a mutare la forma della pianeta riducendola in istato che per operare non fosse necessario ripiegarla sopra le braccia. Noi però lascieremo ad altri l’esame di questo punto; e solamente accenneremo che una volta era nella basilica lateranese una pianeta fatta nel secolo decimo, in cui era dipinto il pontefice Giovanni XII a cui i ministri mettevano la pianeta prima che andasse all’altare per celebrare la messa. Nella pittura la pianeta era dall’una e dall’altra parte aperta, e tanto dalla parte davanti quanto dalla parte di dietro finiva in acuto, in tal maniera che per adoprare le mani non era d’uopo il piegare e ripiegare la pianeta sopra le braccia. Non v’è più lo pittura nella chiesa lateranese; ma una copia d’essa si ritrova nel lib. 1 al cap. 14 del trattato del cardinal Rasponi sopra la Basilica lateranense.

 

Cfr. P. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 41-44.

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