Milano, da domenica 11 la messa in rito ambrosiano antico sarà celebrata alla chiesa di S. Maria della Consolazione al Castello

Chiesa di S. Maria della Consolazione al Castello, Milano

A partire da domenica 11 gennaio 2015 la messa in rito ambrosiano antico a Milano sarà celebrata alla chiesa di S. Maria della Consolazione al Castello (L.go Cairoli 1), sempre alle ore 10, invece che a S. Rocco al Gentilino.

In seguito alla prossima chiusura per restauri della chiesa del Gentilino – dove la messa è stata celebrata ininterrottamente per trent’anni, dal 1985, promossa e gestita dalla sezione di Milano di Una Voce Italia, – l’arcivescovo card. Angelo Scola ha destinato la nuova chiesa per il culto antico.

 

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6 Gennaio. EPIFANIA DEL SIGNORE Stazione a San Pietro.

Epifania vuol dire apparizione, e presso gli orientali originariamente aveva il medesimo significato che Natale a Roma. Era la festa del Verbo Eterno che si rivela all’umanità rivestito di carne. Si veneravano particolarmente tre diverse circostanze di questa rivelazione storica, l’adorazione dei Magi a Bet-lehem, la conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana, ed il battesimo di Gesù nel Giordano. Tra gli Orientali spicca soprattutto la scena del Giordano, quando lo Spirito Santo in forma di colomba adombrò il Salvatore, e l’Eterno Padre dal cielo lo proclamò suo figliuolo diletto. Fin dal tempo di san Giovanni la Gnosi eretica attribuiva a questa scena un’importanza capitale per la sua cristologia, sostenendo che soltanto allora la divinità si era unita all’umanità di Gesù, per dipartirsene poi al momento della sua crocifissione. Quel battesimo era quindi la vera nascita divina di Gesù, e perciò gli Gnostici lo celebravano con ogni pompa. Contro la qual dottrina scrisse pure san Giovanni nella sua prima Epistola: hic venit (Gesù Cristo) per aquam et sanguinem, non in aqua solum, sed in aqua et sanguine, cioè a dire, Gesù venne al mondo in qualità di Salvatore e di Figlio di Dio, non soltanto nelle acque del Giordano, ma sin dalla sua incarnazione, in cui prese corpo e sangue umano. È probabile che i cattolici, ad esempio dell’Evangelista, all’epifania gnostica del Battesimo abbiano voluto contrapporre sin dalla prim’ora quella della nascita temporale a Bet-lehem; onde la solennità ebbe un significato assai complesso, in quanto che volle altresì ritenere i dati evangelici del battesimo e delle nozze di Cana, relegandoli tuttavia in seconda linea, siccome altrettante rivelazioni solenni ed autentiche della divinità di Gesù. A Roma, in un ambiente molto positivo ed alieno affatto dall’esaltazione mistica degli Orientali, la ricorrenza storica del Natale di Gesù acquistò tuttavia tale popolarità, che ancor oggi è l’idea dominante di tutta la liturgia natalizia. Ci fu, è vero, qualche incertezza nella data, e ne seguì uno sdoppiamento. La solennità del 6 gennaio sulle rive del Tevere venne anticipata di due settimane in grazia esclusiva del Natale, ma rimase al suo posto l’antica teofania, sebbene impoverita di concetto, giacché la greppia di Bet-lehem, quasi per attrazione, diede maggior risalto all’adorazione dei Magi, a spese dell’originario significato del battesimo nel Giordano.

È probabile che nel III secolo Roma seguisse ancora fedelmente la primigenia tradizione orientale, amministrando perciò il battesimo solenne il giorno della Teofania. Ippolito, infatti, tenne un sermone ai neofiti ἐις τὰ ἅγια Θεοφάνεια precisamente come nell’antichissimo calendario copto, ove l’odierna festa è chiamata dies baptismi sanctificati. A tempo del Nazianzeno i greci l’intitolavano la solennità dei santi lumi – In Sancta Lumina -, in quanto che il battesimo è l’illuminazione soprannaturale dell’anima. Il terzo ricordo annesso alla solennità d’oggi è il primo miracolo compiuto dal Salvatore alle nozze di Cana. Esso è annoverato tra le teofanie cristologiche, giacché i prodigi evangelici forniscono la prova esterna della divinità di Gesù. San Paolino da Nolae san Massimo di Torino rilevano il triplice aspetto della festa dell’Epifania in termini affatto simili a quelli che adopera la Chiesa Romana nella splendida antifona dell’ufficio dell’aurora. Hodie caelesti Sponso iuncta est ecclesia – nozze mistiche simboleggiate già da quelle di Cana – quoniam in Iordano lavit Christus eius crimina – battesimo dei peccati – currunt cum muneribus magi ad regales nuptias – adorazione del divin Neonato – et ex aqua facto vino laetantur convivae – miracolo di Cana.

Ciò che reca meraviglia si è che questi elementi primitivi della solennità teofanica orientale si ritrovano compenetrati più o meno in Roma nella stessa festa del 25 dicembre; tant’è vero che papa Liberio, in un discorso tenuto a San Pietro nel giorno del Natale, quando Marcellina, sorella di sant’Ambrogio, ricevé dalle sue mani il velo verginale, tra l’altro le disse: “Tu, o figlia, hai desiderato un eccellente matrimonio. Vedi quale folla di popolo è accorsa al Natale del tuo Sposo, e nessuno se ne parte non satollo. Questi, infatti è colui che, invitato a nozze, cangiò l’acqua in vino, e con cinque pani e due pesci sfamò nel deserto quattromila uomini”.

La Stazione a San Pietro s’ispira al medesimo concetto che il dì di Natale. In Roma, le grandi solennità, tranne quelle troppo prolisse del battesimo pasquale, si celebrano presso il Pastor Ecclesiae, la cui basilica è l’ovile del gregge romano. Gli Ordini Romani sino al secolo XIII prescrivevano che dopo la messa il Papa cingesse la tiara e facesse ritorno in Laterano a cavallo. Più tardi però i Pontefici preferirono trattenersi in Vaticano anche pei secondi vesperi, cui assistevano con pluviale di scarlatto ed aurea mitra in capo. L’uso che il Papa medesimo celebrasse oggi la messa stazionale ci è attestato sino alla fine del secolo XIV nell’Ordo del vescovo Pietro Amelio di Sinigallia, il quale fa solo eccezione pel caso in cui l’infermità del Pontefice o il rigore del freddo glielo avessero impedito.

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1Epist. I, V, 6.

2Poem., XXVIII. Nat. IX, 47. P. L., LXI, col. 649.

3Hom. VII in Epiph. P. L., LVII, col. 271 e seg.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 193-195.

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Alfredo Ildefonso Schuster, San Silvestro Papa

31 Dicembre.
SAN SILVESTRO PAPA E CONFESSORE
Stazione nel Cimitero di Priscilla.

 

Oggi la Stazione si raccoglieva sulla via Salaria, nella basilica di San Silvestro sul cimitero priscilliano, ove il grande Pontefice dei trionfi e della pace della Chiesa riposava allato ai martiri Felice e Filippo, del gruppo dei figli di santa Felicita, e a poca distanza da papa Marcello e dal Martire Crescenzione. San Gregorio Magno vi pronunziò una delle sue quaranta omilie; anzi, per parecchi secoli, quel luogo fu la meta dei pellegrinaggi dei pii romei, che visitavano i luoghi santi di Roma.

San Silvestro fu uno dei primissimi Santi cui si rese pubblica venerazione, sebbene non fosse stato martire, ma soltanto confessor a Domino coronatus, a cagione del suo esilio nelle latebre del Soratte. Questo titolo prope martyribus, unito alle sue straordinarie virtù personali, e alla circostanza che egli inaugurò per la Chiesa un’era novella di splendore e di prosperità, valse a ricingere il capo di Silvestro dell’aureola dei beati, tanto che il suo nome divenne celebre anche nel lontano Oriente. La leggenda non mancò d’impadronirsene, sfruttando la popolarità del grande Pontefice; così che egli divenne l’esterminatore del famoso drago che appestava l’aria col suo alito, simbolo strano, ma assai espressivo della vittoria della Chiesa sull’idolatria.

Nel medio evo san Silvestro venne riguardato quale il rappresentante simbolico del Pontificato Romano, e il glorioso capostipite di quella serie di Pontefici-re, che perpetuarono in Roma l’ideale monarchico universale, l’eterno sogno dell’Urbs aeterna. Lo si potrebbe quasi ritenere come il fondatore della dinastia dei Papi-sovrani, onde la sua memoria fu associata per tempo alla famosa ma apocrifa donazione Costantiniana, e alla prima costituzione dello Stato Pontificio. Per lunghi secoli la memoria di Silvestro rimase in grande onore, non solo in Roma, ma dappertutto. La sua festa, anche perché coincide coll’ultimo giorno dell’anno civile, fu considerata come di precetto, e anche oggi ai pastori d’anime incombe l’obbligo d’offrire il divin Sacrificio pel proprio gregge. Giusta gli Ordini Romani, il Papa interveniva alla messa di san Silvestro cinta la fronte colla tiara, come nei dì solenni, e concedeva vacanza al concistoro.

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L’antifona d’introito deriva dal Salmo 131, che è eminentemente messianico. «I tuoi sacerdoti, o Signore, si adornino di santità, e i tuoi fedeli di gaudio. pel tuo servo David, deh! fa sì che il tuo unto non abbia a rivolgersi indietro confuso». segue il Salmo: Ricordati, o Dio, di David e delle sue sofferenze.

La colletta in onore del Santo è divenuta poi comune a tutti i santi Vescovi. Fa, o Signore onnipotente, che la veneranda solennità del tuo beato pontefice, Silvestro il Confessore, rinsaldi la nostra pietà e renda più ferma la nostra salute».

La lezione è tratta dalla lettera di san Paolo a Timoteo (2ª, iv, 18), ove si descrivono gli obblighi del Dottore evangelico di fronte specialmente ai falsi maestri, che sotto vano colore di scienza vanno disseminando errori contro la fede. L’Apostolo sa che purtroppo tali pestiferi apostoli del mali non avrebbero tardato a sorgere nella Chiesa di Dio, gente che le solletica le orecchie e la curiosità degli uditori, che si allontana dalla verità, per darsi alle vane costruzioni intellettuali d’una mente superba ma inferma. La vita stessa di Silvestro, colle dispute contro l’Arianismo, conferma queste previsioni di san Paolo.

 

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 184-186.

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FESTA DEI SANTI INNOCENTI Stazione a San Paolo.

S. Paolo fuori le mura

L’odierna Stazione alla basilica dell’Apostolo, più che in relazione alle Reliquie dei Santi Innocenti, che una tradizione voleva si conservassero in quello splendido tempio, s’ispira al concetto delicatissimo dell’antica liturgia, che celebra sempre le grandi solennità dei suoi cicli liturgici con qualche Stazione presso le tombe di san Pietro e di san Paolo. Così fa, ad esempio, nelle tre settimane previe alla quaresima, così per gli scrutini battesimali; così a Pasqua, a Pentecoste, e così pure a Natale. Non è inoltre escluso che oggi,
questa Stazione a San Paolo, dopo quella del 25 dicembre a San Pietro, conservi ancora l’estremo ricordo d’una antichissima festa in onore dei due Principi degli Apostoli, attestataci da parecchi Calendari e feriali orientali del IV secolo.

Non sappiamo quando Roma accolse gl’Innocenti tra i suoi fasti liturgici. Essi già appariscono in questo giorno nel Calendario di Cartagine (V-VI sec.) e nei Sacramentari Leoniano e Gelasiano, mentre nel Calendario Siriaco sono commemorati il 23 settembre. Certamente la festa di Natale assai per tempo ha rievocato ed attratto a sé quella degli Innocenti massacrati da Erode, onde in Roma quest’oggi era giorno di lutto e di penitenza. Gli Ordini Romani prescrivono che il Papa e i suoi assistenti indossino oggi vesti violacee, che i diaconi e suddiaconi rivestano la penula processionale, e che il Pontefice adorni il capo di semplice mitra di candida tela. All’ufficio notturno si sospendeva il canto del Te Deum, alla messa quello del Gloria e dell’Alleluia, tranne che di domenica, e i fedeli si astenevano da cibi di carne o conditi con adipe. Nel secolo XV la corte pontificia celebrava tuttavia l’odierna festa nella Cappella papale, ove si soleva tenere altresì un discorso di circostanza, ma, come lamentano gli Ordini Romani XIV e XV, a poco a poco la tradizione scomparve. Può essere che, come ieri si volle celebrare l’Evangelista d’Efeso nella basilica di Sicinino tra i ricordi del Concilio Efesino, così quest’oggi si sia prescelto di commemorare il pianto di Rachele sui suoi figli nella basilica appunto del più illustre rampollo della tribù di Beniamin, onde ritrovarsi, a dir così, quasi in casa delle innocenti vittime.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, p. 177.

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SAN GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA Stazione a Santa Maria Maggiore.

S. Maria Maggiore

Di tutte le feste di Apostoli che in antico facevano parte del ciclo natalizio, l’unica che sia rimasta è quella di san Giovanni, già associato in Oriente a san Giacomo, primo vescovo di Gerusalemme. La Stazione è nella basilica Liberiana, pel motivo che la chiesa Lateranense è dedicata al Salvatore – a san Giovanni Evangelista ed al Battista erano dedicati soli due piccoli oratori a destra e a sinistra del battistero, eretti da papa Ilaro in memoria dello scampato pericolo, quando si sottrasse colla fuga alle violenze conciliari dei seguaci di Dioscuro, nel così detto latrocinium Ephesinum. – La basilica di San Giovanni innanzi la porta latina è d’origine posteriore, e non venne compresa che assai tardi nella lista delle chiese stazionali; non rimaneva quindi che il tempio Liberiano, il quale, sia per il Presepio del Salvatore che per i mosaici di Sisto III in memoria del Concilio d’Efeso, tenuto appunto presso il sepolcro dell’Evangelista, sembrava il più adatto a celebrare in esso la Stazione natalizia in onore di san Giovanni.

In seguito l’oratorio Lateranense dell’Evangelista salì a gran celebrità, e quindi non è impossibile che le due messe segnate in questo giorno nel Sacramentario Leoniano, si riferiscano veramente a due distinte Stazioni, una a Santa Maria Maggiore e l’altra al battistero del Laterano.

Fino al secolo XI le Stazioni romane si svolsero regolarmente coi loro solenni riti tradizionali; ma dopo questo tempo gli scismi e le lotte delle fazioni avendo trattenuto i Papi dal prendervi parte personalmente, gli Ordines posteriori prescrivono che anche la festa di san Giovanni, al pari di molte altre, venga celebrata semplicemente nella Cappella papale. Cantava la messa un cardinale, ed uno dei procuratori dei nuovi ordini mendicanti teneva l’omilia alla presenza del Pontefice, che indossava il pluviale di scarlatto e la mitra. Ai secondi vesperi – ammessi in Roma assai tardi, mentre il vespero originariamente era il preludio dell’ufficio vigiliare che precede, non segue, le grandi solennità – intervenivano il clero palatino, i commensali del Papa, gli uditori di palazzo, i suddiaconi, gli accoliti e i cappellani.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 172-173.

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SANTO STEFANO PROTOMARTIRE Stazione a Santo Stefano sul Colle Celio.

S. Stefano in Monte Celio

L’odierna basilica stazionale fu incominciata da papa Simplicio (468-82), ma venne condotta a termine solo da Giovanni I (523) e da Felice IV, che ne compirono la decorazione musiva. L’odierna festa di santo Stefano invece è assai più antica, ed apparisce perfino nel latercolo del martirologio ariano, la cui prima origine è da riferirsi all’ultimo ventennio del secolo IV.

Sembra infatti che a dare maggior splendore alla solennità Natalizia, si siano voluti raccogliere attorno alla culla di Gesù i più grandi Santi, e quelli che in certo modo avevano una speciale relazione col mistero della sua Incarnazione. San Gregorio di Nissa li ricorda con quest’ordine: Stefano, Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo e Basilio¹, mentre altri documenti greci posteriori vi aggiungono David, san Giuseppe e i Magi.

Sin dalla prima metà del v secolo, poco dopo lo scoprimento delle reliquie del Protomartire, sorsero in Roma parecchie basiliche a lui dedicate. Vicino a San Pietro ve n’eran due, di Santo Stefano Katà Galla patricia, e di Santo Stefano Katà Barbara patricia; un’altra sorgeva su d’un fondo di Demetriade, legato a san Leone I sulla via Latina. Questa Demetriade, figlia di Sesto Anicio Ermogeniano Olibrio, amica di sant’ Agostino, che le donò alcune reliquie del Protomartire, è la destinataria d’una celebre lettera di Pelagio sulla vita devota.

Nel medio evo la pietà dei Pontefici moltiplicò dovunque nell’Urbe i santuari di Santo Stefano, sicché se ne contano almeno 35, tra cui parecchi monasteri così latini che orientali. Data quindi la popolarità del culto del primo Martire, la solennità colla quale veniva celebrata l’odierna stazione sul Celio non ha nulla di sorprendente.

Il Papa insieme coi cardinali e colla corte rivestita tutta di sfarzosi abiti di seta, vi si recava a cavallo dal Laterano. La gualdrappa del destriero era di prezioso scarlatto, ed il Pontefice, cinto il capo della tiara, indossava la bianca penula, l’abito viatorio degli antichi romani. A Santo Stefano Rotondo deponeva la corona e le vesti candide, per rivestirsi delle rosse colle quali celebrava la messa; al termine di questa risaliva a cavallo, e il corteo faceva ritorno al patriarchio, ove avevano luogo la consueta distribuzione delle mancie – presbyterium –  e il convito rituale nel triclinio. L’Ordo di Pietro Amelio prescrive che debba essere imbandito con ogni decoro, e che vi abbiano parte i cappellani, gli accoliti, gli uditori e i penitenzieri, cui si distribuiva altresì una provvigione di pepe². In caso d’indisposizione del Papa, l’odierna messa toccava al prete cardinale di San Clemente, giacché quello di Santo Stefano suppliva di diritto il Pontefice nel giorno di Natale. Nel pomeriggio i vesperi avevano luogo in Laterano, e vi prendeva parte il Papa vestito di pluviale rosso e colla mitra in capo.

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¹ P. G., t. XLVI, col. 790 seg.

² P. L., LXXVIII, 1281.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 169-170.

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ALLA TERZA MESSA DEL GIORNO DI NATALE Stazione a Santa Maria Maggiore (a San Pietro).

S. Maria Maggiore

Sino ai tempi di Gregorio VII la terza Stazione natalizia, come per solito a Roma nei dì più solenni, si raccoglieva a San Pietro, quasi per celebrare il Natale in famiglia, attorno alla mensa Petri, del comun Padre e Pastore. Ma la brevità delle giornate invernali, e la difficoltà di recarsi processionalmente in Vaticano in quei giorni torbidi, in cui il papa era stato perfino strappato dall’altare ad Praesepe nella messa natalizia di mezzanotte ed era stato trascinato prigione dalla fazione avversa, fece preferire la basilica Liberiana più prossima al Laterano, tanto più che nel secolo XI San Pietro fu parecchie volte in potere degli scismatici e dei loro antipapi. L’uso imposto allora dalla tristezza dei tempi finì col diventare legge, e la Stazione a Santa Maria Maggiore sostituì quella di San Pietro. Con questa differenza però, che la messa della mezzanotte è nell’oratorio ad Praesepe – dove poteva essere ammessa solo una cerchia ristretta di persone -, mentre la terza si celebra nella vasta aula di Sicnino, decorata da Liberio e da Sisto III.

Nell’entrare del pontefice in chiesa, descrivono gli antichi Ordini Romani, i cubicolari lo ricevevano sotto una specie di baldacchino, ed egli, con un cerino posto sulla sommità d’una canna, dava fuoco alla stoppa intrecciata sui capitelli delle colonne.

Questo rito che oggi compiesi solo in occasione della consacrazione del Sommo Pontefice, simboleggiava la gioia festiva, siccome ancora voleva essere quasi una figura finis mundi per ignem¹, ma questo secondo significato simbolico è posteriore. Nei tempi più recenti il senso primitivo ha subito una nuova modificazione, ed al Pontefice che in tutta la sua gloria s’appressa all’altare di San Pietro onde cingere la tiara pontificia, un cerimoniere, mostrando la stoppa ardente, dice: Pater Sancte, sic transit gloria mundi. La lezione è profonda, ma gli umanisti del rinascimento che l’introdussero, sembra che punto non comprendessero la sconvenienza di recitarla innanzi al sommo Maestro della Fede, nell’atto che prendeva possesso del trono pontificio.

Giunto il corteo sul presbiterio, il primicerio, togliendo la mitra al Papa, lo baciava sull’omero; questi a sua volta, baciato il codice dei Vangeli, scambiava l’amplesso col decano dei cardinali vescovi, e circondato dai suoi sette diaconi, dava principio all’azione liturgica.

Dopo la colletta, i chierici inferiori, sotto la direzione dell’arcidiacono, eseguivano una serie di acclamazioni litaniche – tuttavia in uso nella coronazione pontificia – in onore del Papa; il quale li ricompensava di quel complimento con tre soldi d’argento per ciascuno. All’offertorio salivano all’altare altri sette tra vescovi e preti cardinali, e concelebravano con lui – il qual rito di concelebrazione eucaristica si mantenne assai a lungo a Roma nella messa solenne papale.

Terminato il divin Sacrificio, il Pontefice veniva incoronato col regnum dall’arcidiacono – la seconda e la terza corona sono state aggiunte nel periodo avignonese – e lo splendido corteo a cavallo faceva ritorno al Laterano per il pranzo. Prima di discender di sella, i cardinali si schieravano innanzi alla piccola basilica di Zaccaria, e – come il Polichronion della corte bizantina nella festa di Natale – l’arciprete di san Lorenzo intonava esso pure: Summo et egregio ac ter beatissimo papae N. vita. Rispondevano i colleghi tre volte: Deus conservet eum. Ripigliava l’altro: Salvator mundi, o Sancta Maria, omnes Sancti e ad ogni invocazione il coro rispondeva: tu illum adiuva. Il Papa ringraziava dell’augurio, e distribuiva a ciascuno dei cardinali tre monete d’argento. Sottentravano allora i giudici, ed il primicerio intonava: Hunc diem; gli altri acclamavano ripetutamente: Multos annos. Riprendeva il capo: Tempora bona habeas, ed il coro: tempora bona habeamus omnes.

Allora finalmente il Papa scendeva da cavallo, ed entrato in una delle sale, continuando l’antica tradizione dei Cesari, faceva ai suoi clienti le consuete distribuzioni di danaro. – È sommamente interessante vedere come la corte pontificia del medio evo abbia conservate tante tradizioni del periodo imperiale di Roma e di Bisanzio. – Oltre la buona mano comune a tutti, al prefetto della città spettavano venti monete, quattro ai giudici e ai vescovi, tre ai preti e diaconi cardinali, due ai chierici inferiori e ai cantori. Lieti tutti per l’elargizione ottenuta, prendevano posto a mensa imbandita nel gran triclinio di Leone III, il cui mosaico absidale esiste tuttavia sulla piazza lateranense, in una ricostruzione posteriore compiuta sotto Benedetto XIV.

Intorno al Papa sedevano a mensa in abiti sacri, a destra i cardinali vescovi e preti, a sinistra l’arcidiacono, il primicerio cogli alti ufficiali di corte. Nel mezzo dell’aula era il leggio coll’omiliario, donde a metà del banchetto un diacono leggeva un tratto dei Santi Padri. Ma la lettura non durava a lungo: il Pontefice mandava un accolito ad invitare la schola, perché eseguisse qualche sequenza del suo repertorio in onore del Natale – ecco il posto riservato alla sequenza, siccome canto devoto e popolare, ma estra-liturgico, in Roma -, e dopo che i cantori avevano dato prova della loro valentia musicale, erano ammessi a baciare il piede al Papa, il quale bonariamente offriva a ciascuno una coppa di vino ed un bisante. Quanta poesia in queste antiche cerimonie della Roma papale, e soprattutto quale influsso esercitava la sacra liturgia sopra tutta la vita religiosa del popolo!

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¹ Ord. Bened. CanoniciP. L., LXXVIII, col. 1032.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 164-166.

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ALLA II MESSA ALL’AURORA Stazione a Sant’Anastasia.

S. Anastasia

Ricorrendo oggi il natale di sant’Anastasia, il cui culto divenne molto celebre in Roma, specialmente durante il periodo bizantino, la Chiesa istituì questa Stazione solenne alla sua basilica, ai piedi del Palatino. Il Sacramentario Leoniano nell’elenco delle feste di dicembre menziona bensì sant’Anastasia, ma nello stato mutilo di quel documento, non è possibile di dedurne altro. Nel Sacramentario Gelasiano non v’è nulla, mentre in quello Gregoriano – i nomi di Leoniano, Gelasiano e Gregoriano non garantiscono punto la merce che ricoprono – le collette della celebre Martire di Sirmio precedono quelle stesse della seconda messa di Natale.

on ostante che il Sacramentario che va sotto il nome di san Gregorio, rifletta un periodo relativamente tardo della fioritura liturgica in Roma – circa il pontificato d’Adriano I -, pure l’odierna stazione a sant’Anastasia desta l’impressione di risalire ad una buona antichità, quando il Natale del Signore in Roma non era ancora salito a tanta solennità, e vigeva tuttavia l’uso di celebrare nello stesso giorno, con stazioni differenti, più Martiri localizzati in distinti santuari. In un evo posteriore, certo sant’Anastasia sarebbe stata trasferita ad altro giorno.

Tra i sermoni di san Leone I ve n’ha uno contro l’eresia d’Eutiche, pronunciato nella basilica anastasiana. L’argomento è perfettamente cristologico, quale appunto converrebbe per la festa di Natale; ma in mancanza d’argomenti, non può affermarsi con certezza che l’autore l’abbia precisamente recitato nell’odierna Stazione natalizia, alla basilica della Martire Sirmiese.

Da principio – come è dato ancora di rilevare dal Sacramentario Gregoriano – la messa stazionale a Sant’Anastasia era tutta in onore dell’omonima Martire; ma in seguito, man mano che la festa del Natale aumentò d’importanza, sant’Anastasia dové appagarsi d’una semplice colletta commemorativa.

L’ora mattutina in cui si celebrava in Roma questa Stazione, in origine non aveva alcun significato mistico in relazione colla nascita del Salvatore, come più tardi ce lo videro i medievali. Siccome la messa solenne a San Pietro doveva celebrarsi in sull’ora di terza, così, pel convegno ai piedi del Palatino, non rimaneva libera che la primissima ora del mattino, appena terminato l’ufficio vigiliare nella basilica liberiana. Perciò l’attuale rubrica del Messale: ad secundam missam in Aurora archeologicamente non è del tutto esatta, al pari dell’altra della messa a mezzanotte, che in realtà veniva celebrata al primo cantar del gallo.

Gli Ordini Romani prescrivevano che il Papa, quand’era in Roma, celebrasse egli la Stazione a Sant’Anastasia; in caso d’assenza, lo sostituiva il presbyter tituli o il primo dei cardinali preti. L’ultimo che si conformasse nel secolo passato a quest’antica regola, fu Leone XII.

Nel medio evo il Pontefice, terminata la messa nella cripta ad Praesepe, senza neppur deporre la penula, si recava subito al titolo d’Anastasia; nel secolo XlV invece, quando già l’antica disciplina stazionale era andata quasi in disuso a cagione delle sontuose feste papali celebrate nell’interna cappella pontificia, invalse l’uso d’interporre un po’ d’intervallo tra l’una e l’altra cerimonia. – Negli ultimi tempi prima del 1870 Pio IX celebrava la messa in nocte a Santa Maria Maggiore nelle prime ore della sera, in modo da poter poi ritornare in palazzo per la cena prima della mezzanotte. – La comunione dei cardinali e del clero romano, che in origine si amministrava a San Pietro nella terza messa di Natale, nel secolo XIV anticipavasi già nella messa mattutina a Sant’Anastasia, e coi cardinali vi prendevano parte gli altri prelati di curia, non insigniti della dignità vescovile.

La messa prende motivo dall’astro del giorno che già incomincia a diradare le tenebre notturne, per elevarsi alla contemplazione di Colui, che il Padre generò, siccome lume da lume, dal seno della Divinità, innanzi il sorgere di lucifero.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 159-161.

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NATIVITÀ DEL SIGNORE Alla prima messa nel cuore della notte. Stazione a Santa Maria al Presepe.

S. Maria al Presepe

Essendo ignota nei primi tempi la data storica della natività temporale del Salvatore, un’antica tradizione inaugurata forse ai principi del II secolo, celebrava le varie teofanie del Cristo nella sua natura mortale, la sua nascita cioè, il suo battesimo nel Giordano e la sua manifestazione ai Magi poco dopo il solstizio d’inverno, nei primi dieci giorni di gennaio. Questa data convenzionale aveva già trovato credito in tutte la Chiese, quando, non si sa come, Roma sdoppiò per suo conto la festa delle Teofanie, anticipando ai 25 dicembre l’anniversario della nascita temporale del Salvatore. Quando e come la Chiesa Madre giunse a stabilire tale data? Lo ignoriamo, giacché, messo da parte un testo assai dubbio del Commentario d’Ippolito su Daniele, il più antico documento che assegni il Natale al 25 dicembre è il Calendario Filocaliano del 336, il quale reca quest’indicazione: VIII Kal. ian. natus Christus in Betleem Iudee. Evidentemente il Cronografo non annunzia nulla di proprio, ma si fa l’eco della anteriore tradizione romana, la quale nel Liber Pontificalis pretende di risalire sino a papa Telesforo. Nel discorso tenuto in san Pietro da papa Liberio in occasione che il giorno di Natale diede il velo di verginità a Marcellina, sorella di sant’Ambrogio, non vi si rileva alcun accenno alla novità della festa, ma anzi tutto il contesto conferma l’impressione che trattisi d’una solennità d’antica data, alla quale il popolo suole accorrere in folla per antica consuetudine.

La festa di Natale fu da principio propria della Sede Apostolica. Il Crisostomo che l’introdusse in Antiochia verso il 375, si appella appunto all’autorità della capitale del mondo latino, dove, a suo avviso, si sarebbero ancor conservati gli atti del censimento di Quirino colla data precisa della nascita di Cristo a Bet-lehem il 25 dicembre. Da Antiochia la festa passò a Costantinopoli; sotto il vescovo Giovenale, tra il 424-58, essa venne introdotta a Gerusalemme, quindi verso il 430 fu ammessa anche ad Alessandria, e da queste celebri sedi patriarcali si diffuse un po’ alla volta anche nelle diocesi loro dipendenti. Attualmente solo i monofisiti Armeni celebrano ancora il natale di Cristo alla sua primitiva data, il 6 gennaio.

Non è da trascurare però una coincidenza. Il calendario civile della collezione Filocaliana, ai 25 dicembre nota il Natalis invicti, cioè del sole, la cui nascita coincide appunto col solstizio invernale. In un tempo quando, in grazia dei misteri mitriaci, il culto dell’aureo astro del giorno aveva preso tale sviluppo che, a dir di san Leone, gli stessi devoti che frequentavano la basilica vaticana si permettevano d’unirvi il rito superstizioso di salutare prima in sull’atrio dell’Apostolo il disco solare, non è improbabile che la Sede Apostolica coll’anticipare ai 25 dicembre la nascita del Cristo abbia voluto contrapporre al Sol invictus, Mitra, il vero Sole di giustizia, cercando così di stornare i fedeli dal pericolo idolatra delle feste mitriache. In un’altra occasione affatto simile, per la festa cioè dei Robigalia il 25 aprile, Roma adottò un’identica misura di prudenza, e al corteo pagano al Ponte Milvio sostituì la processione cristiana che percorreva il medesimo tragitto; solo però che dalla via Flaminia e dal Ponte Milvio il clero voltava poi verso la basilica Vaticana, per finire poi coll’offerta del divin Sacrificio sul sepolcro dell’Apostolo.

La caratteristica della festa di Natale nel rito romano è l’uso delle tre messe, una al primo canto del gallo – ad galli cantum -, l’altra in sull’albeggiare, e la terza in pieno giorno. Questa consuetudine ci viene già attestata da san Gregorio, ma è sicuramente più antica, giacché l’autore della biografia di papa Telesforo nel Liber Pontificalis pretende di sapere che fu appunto questo Pontefice ad introdurre pel primo il canto del Gloria in excelsis nella messa della notte di Natale.

La pannuchis natalizia colla messa in fine, oltre che dalla solennità, in certo modo era suggerita anche dalla circostanza che il Cristo era nato a Bet-lehem nel cuore della notte; e come a Gerusalemme, così anche a Roma si volle riprodurre liturgicamente quella scena notturna, tanto più che Sisto III aveva edificato a santa Maria Maggiore un suntuoso oratorio ad praesepe, il quale nella concezione romana doveva essere come una riproduzione di quello di Bet-lehem.

Questa messa vigiliare non costituiva però, com’è adesso, una speciale caratteristica della solennità natalizia; era il consueto Sacrificio che regolarmente poneva termine alle sacre vigilie. Anzi, se dobbiamo argomentare la frequenza dei devoti dalla vastità del luogo in cui si celebrava la Stazione, convien conchiudere che il piccolo ipogeo ad praesepe contenesse un’adunanza assai ristretta di persone; tanto ristretta, che in una notte natalizia, mentre Gregorio VII vi celebrava la messa, egli poté esservi arrestato dagli sgherri di Cencio ivi posti in agguato, tratto via da Santa Maria Maggiore, e trascinato prigioniero in una torre del Parione, senza che il popolo romano sino alla mattina appresso s’avvedesse punto di ciò che era accaduto al Papa durante la Stazione.

La vera messa solenne del Natale, in die sancto, era quella che si celebrava di pieno giorno a san Pietro. Fu appunto durante la messa natalizia a san Pietro che, a testimonianza di sant’ Ambrogio, papa Liberio innanzi a una gran folla di popolo diede il velo verginale a Marcellina. In quell’occasione il Pontefice tenne un celebre discorso conservatoci dal Santo nel De Virginibus, e di cui ci basta di riferire queste parole: «Tu, mia figlia, hai desiderato delle nozze assai sublimi. Tu vedi qual massa di popolo sia accorsa al genetliaco del tuo sposo, e come nessuno se ne parta non nutrito». Se tutta quella gente attendeva ancora di comunicare alla messa papale, è un indizio questo che il concorso alla messa vigiliare e a quella dell’alba era stato ben poca cosa.

Il giorno di Natale del 431 papa Celestino ricevé le lettere che l’informavano circa la riuscita del concilio d’Efeso. Egli le fece leggere innanzi «all’adunanza di tutto il popolo cristiano, a san Pietro».

Tra la messa vigiliare al Presepio e quella stazionale al Vaticano, verso il V secolo, in grazia della colonia Bizantina residente in Roma, prese luogo un’altra sinassi eucaristica ai piedi del Palatino. Essa aveva per oggetto di celebrare il natale della martire di Sirmio, Anastasia, il cui corpo era stato trasportato a Costantinopoli sotto il patriarca Gennadio (458-71). Fu scelto a Roma il titulus Anastasiae perché gli atti identificavano la Martire colla fondatrice della Chiesa. Passati i Bizantini, scemò pure la popolarità della devozione a sant’Anastasia, ma sopravvisse la Stazione, che però, invece della festa natalizia della Martire com’era da principio, importò una seconda messa mattutinale in venerazione del mistero della nascita corporale del Signore.

Originariamente la trina celebrazione del divin Sacrificio nel giorno di Natale era propria del Papa o di chi presiedeva la sinassi stazionale; anzi questa politurgia non era già qualche cosa d’assolutamente insolito in Roma. Anche la festa degli apostoli Pietro e Paolo godeva l’onore delle tre messe, quella dei figli di santa Felicita ne importava quattro, e generalmente tutte le altre grandi solennità dei martiri ammettevano più messe quanti appunto erano i santuari in venerazione. Le messe erano per lo meno due, quella ad corpus nell’ipogeo sepolcrale del Santo, e l’altra la missa publica, come la chiamavano, nella basilica superiore. Tale disciplina è affine un po’ a quella che regola attualmente la celebrazione delle messe conventuali negli odierni Capitoli Collegiali. Ricorrono spesso dei giorni in cui il Calendario assegna due o anche tre messe conventuali; questo però non vuoI dire che il medesimo sacerdote debba offrire egli per la seconda e la terza volta nello stesso giorno il santo Sacrificio, e meno ancora che fuori di coro ogni prete sia autorizzato in quei giorni a celebrare più messe. Indica soltanto il numero dei Sacrifici cui il Capitolo Collegiale è tenuto di assistere. Così era pure in antico pei giorni politurgici; si ufficiavano i vari santuari che ricordavano l’eponimo della festa, e spesso vi presiedeva personalmente il Papa, che offriva allora il divin Sacrificio. Ma fuori dei medesimi santuari in cui si celebrava la festa, pei presbiteri addetti ai diversi titoli urbani, non si dava politurgia, e tutto si compieva secondo il modo consueto descritto nei Sacramentari.

I liturgisti del tardo medio evo si sono compiaciuti di ricercare le intime ragioni per cui il dì di Natale si celebrano tre messe; invece però d’esplorare il campo dell’archeologia nel quale avrebbero certo ritrovato traccia dei tre diversi santuari Romani che dovevano essere ufficiati il 25 dicembre, essi si fermarono su dei motivi ascetici e mistici, belli invero ed assai utili a nutrire la devozione, ma affatto estranei alla prima istituzione di questa politurgia romana, e di cui gli Orientali non hanno idea.

La messa della mezza notte – gli antichi veramente la chiamavano ad galli cantus perché sin dal tempo di sant’Ambrogio solo a quell’ora s’incominciava la quotidiana officiatura mattutinale – ricorderebbe la nascita eterna del Verbo di Dio tra gli splendori della paterna gloria; quella dell’aurora celebra la sua apparizione temporale nell’umiltà della carne, e finalmente la terza a san Pietro, simboleggia il suo ritorno finale nel dì della parusia, quando sederà giudice dei vivi e dei morti.

Giusta l’XI Ordine Romano, ai tempi di Celestino II nella notte di Natale ancora si celebravano a Santa Maria Maggiore e coll’assistenza del Papa le due distinte sinassi vigiliari di cui tratta Amalario. Nella prima, le lezioni erano cantate dai canonici, dai cardinali e dai vescovi, precisamente come nella terza domenica d’Avvento a san Pietro i dopo l’ufficio si celebrava la messa ad Praesepe, seguita dal secondo mattutino e dalle laudi.

Nel secolo XV il Pontefice interveniva alle vigilie con una cappa lanea color scarlatto e fornita di cappuccio che si annodava sotto la barba propter frigus, come descrive il XIV Ordine Romano1. Se vi assisteva anche l’imperatore, egli vestito di pluviale e brandendo la spada doveva cantare la quinta lezione, essendo riservata al Papa la nona. Durante la messa, tutte le offerte che il popolo deponeva sull’altare o ai piedi del Pontefice, spettavano ai cappellani, eccetto il pane che apparteneva agli accoliti. Contrariamente all’uso, la notte di Natale il Papa si comunicava, non già in trono, ma all’altare, e nel sorbire il sacro Calice non faceva uso della solita fistola aurea; il clero poi per ricevere la sacra Comunione attendeva sino al mattino seguente.

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1 P. L., LXXVIII, col., 1181.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 152-156.

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VIGILIA DEL NATALE DEL SIGNORE Stazione a Santa Maria Maggiore.

S. Maria Maggiore

Veramente, questa messa della vigilia il 24 dicembre non dovrebbe aver luogo, giacché l’originaria messa vigiliare è quella che celebravasi questa notte dopo l’ufficio notturno nell’oratorio ad praesepe. Però, dopo i Concili d’Efeso e di Calcedonia, la solennità del Natale salì a tanta celebrità, che l’antico rito romano del Natale dové andarne modificato; così che esso importò un digiuno e un mese preparatorio a somiglianza della Pasqua. Inoltre la stessa solennità natalizia del 25 dicembre, invece di due messe, una della vigilia e l’altra della festa, con una terza messa intercalare in memoria di sant’Anastasia, finì per ammetterne quattro, e tutte in memoria del mistero; una cioè in sulla sera del 24 dicembre al primo inizio dell’ufficio notturno, una in sulla mezzanotte al primo canto del gallo, una al primo mattino, e l’ultima in sull’ora di terza. Sant’Anastasia ai tempi di san Gregorio passò in seconda linea, e al più ritenne l’onore d’una semplice commemorazione.

La messa quindi assegnata per oggi nel Messale, meglio che il sacrificio vigiliare che importava sempre la precedente pannuchis, rappresenterebbe la messa della preorte, come dicono i Greci, il sacrificio del giorno precedente alla festa, quando dopo nona si celebrava la messa di preparazione e s’iniziava subito la solennità notturnale. Tale precisamente era l’uso della Chiesa Milanese nel medio evo. La Stazione del 24 dicembre è a Santa Maria Maggiore, come quella della notte per la prima messa natalizia; abbiamo così due, anzi colla terza messa di domani, tre Stazioni consecutive alla medesima chiesa; il che, essendo contrario al genio dell’antica liturgia romana, tradisce subito un posteriore rimaneggiamento e c’indica che l’ordine seguito oggi dal Messale non è più il primitivo. Infatti, anche la messa d’oggi non è che uno sdoppiamento di quella della notte veniente ad Praesepe, ed è un esempio sporadico nella liturgia romana, quello d’una festa con due sacrifici vigiliari, uno prima ed uno dopo l’ufficio notturno.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, p. 147.

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