Card. Lambertini, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa, VIII

NELLE CHIESE CONSACRATE

Card. Prospero LambertiniVIII. Si è detto finalmente, essere sempre stata uniforme la disciplina della Chiesa, che potendosi la Messa celebrar nelle chiese, si celebri in esse. Chiara è l’autorità di s. Basilio, che nel libro De baptismo al cap. 8 così dice: «Nobis periculum est male obiti mandati, si loci rationem neglexerimus, maxime si sacerdotii mysteria in locis profanis celebraverimus, propterea quod ea res indicium haberet contemptus in celebrante, offendiculum quoque generaret». Chiara altresì è la testimonianza di s. Cirillo alessandrino nel Libro contro gli Antropomorfiti al cap. 12. «Donum, sive oblatio, quam mystice celebramus, in solis orthodoxorum sanctis Ecclesiis offerri debet, neque alibi omnino. Qui secus faciunt, aperte legem violant». Anzi non solo fu sempre uniforme la disciplina, che potendosi celebrar la Messa nelle chiese, si celebrasse; ma altresì fu uniforme, che celebrandosi nelle chiese, si celebrasse nelle chiese consacrate. Per lo che tutta l’apologia di s. Atanasio a Costanzo consiste nel purgarsi dalla voce falsamente sparsa contro di lui, che avesse celebrato in una chiesa non consecrata: «Caeterum quia de magna Ecclesia crimen concinnant, quod ibi Synaxis habita sit, priusquam absoluta esset»: ecco l’accusa: alla quale il santo risponde, che celebrando egli i santi misteri nel giorno di pasqua in una chiesa, nella quale non poteva capire tutto il popolo, l’invitarono i fedeli ad andare in una nuova chiesa più capace, e non consacrata, per poter ivi con più comodo far le preghiere: al che non avendo voluto nel principio acconsentire, un gran numero di persone se ne partì e andò alla campagna per far le sue orazioni senza troppa folla di gente, e grave incomodo; e che non essendo ciò cosa ben fatta, permise, ch’entrassero nella chiesa di nuovo fabbricata e non consacrata, per pregare in essa il Signore, il che non impediva la consecrazione della nuova chiesa: aggiungendo ch’essa si sarebbe fatta, quando Costanzo, alle di cui spese il nuovo tempio era stato fabbricato, ne avesse dato il benigno assenso, «Huius ergo dedicationis te, litterarum studiosissime imperalor, authorem esse oportet. Locus enim ille precibus in eo fusis ante expiatus, praesentiam tuae pietatis requirit; hoc enim solum ei deest ad plenum ornatum». E quando fosse d’uopo il dir qualche cosa della consecrazione delle chiese, diremmo esser essa d’istituto apostolico, esser passata dall’antico testamento nel nuovo, ed essere stata abbracciata ben subito dalle chiese d’oriente e d’occidente, ed esser falso, che s. Evaristo pontefice ne fosse l’inventore, potendosi solamente dire, che vi aggiunse alcune cerimonie, come ben dimostrano il cardinale Bona Rer. lilurgicar. al lib. 1 cap. 20 n. 3 ed il Pagi iuniore nella Vita di s. Evaristo al n. 3. Onde Eusebio Cesariense nel lib.10 della sua Storia al cap. 3, descrivendo l’allegrezza de’ cristiani, quando Costantino abbracciò la fede, ci rappresenta la consecrazione delle Chiese, che allora si fabbricarono, additandocene il rito come già introdotto, ma tralasciato in tempo delle persecuzioni, e che di nuovo si vedeva praticato nelle chiese in tal occasione fabbricate: «Votivum nobis ac desideratum spectaculum praebebatur, dedicationum scilicet festivitas per singulas urbes, et oratoriorum recens structorum consecrationes»: (e poco dopo) iam vero antistitum absolutissimae caeremoniae, et accurata sacrificia sacerdotum, et divini quidem augustique ritus hinc psalmos canentium, et reliquas nobis divinitus traditas voces auscultantium, illinc divina, et arcana obeuntium ministeria». Nella legge scritta abbiamo, come Mosè consacrò il tabernacolo:«Unxit et sanctificavit cum omnibus vasis suis altare et similia:» come si legge nell’Esodo al cap. 40 e ne’ numeri al cap. 7; il che fu una figura della consecrazione delle nostre chiese, se prestiamo fede all’erudito Petavio De Hierarchia Ecclesiastica al lib. 3 cap. 5. Salomone celebrò solennemente la dedicazione del tempio: «dedicavit Domum Dei rex, et universus populus»: come nel 2 De paralip. e nel tempo di tale dedicazione sacrificò ventidue mila bovi e ventisei mila montoni. Giuda Maccabeo avendo purgato il tempio di Gerosolima dalle sue profanità, ed immondezze e fattovi un altare nuovo di pietra, celebrò l’Encenismo, ossia l’Encenia, cioè la festa della dedicazione: «Encenia festivitas erat dedicationis templi», (scrisse s. Isidoro nel lib. 1 De ecclesiasticis officiis al cap. 35. Festa che da’ giudei osservavasi anche al tempo di Gesù Cristo, il quale non volle mancarvi, come si legge in s. Giovanni al cap. 10.

Cfr. P. LAMBERTINI, Annotazioni sopra il santo sacrifizio della Messa secondo l’ordine del Calendario Romano, Torino, Speirani e Tortone, 1856, pp. 9-11.

 

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