DOMENICA I. D’AVVENTO Stazione a Santa Maria Maggiore.

S. Maria Maggiore

Diversamente dagli antichi Sacramentari che cominciavano l’anno dalla solennità natalizia, l’odierno Messale Romano inizia oggi il suo ciclo liturgico. La ragione si è che l’incarnazione del Verbo di Dio è il vero punto centrale, la colonna milliaria che divide il lungo corso dei secoli dell’umanità; la quale nei disegni della divina Provvidenza, o prepara quella pienezza dei tempi che prelude all’avventurato «anno di redenzione», o dalla culla di Bet-lehem indirizza i suoi passi verso la Valle di Giosafat, dove il Bimbo del Presepio attende al giudizio tutta l’eredità d’Adamo, riscattata col suo Sangue prezioso. L’ordine dell’odierno Messale è più logico, e corrisponde meglio a questo nobile concetto della storia, che fa dell’Incarnazione il vero punto centrale del dramma dell’universo; ma gli antichi che facevano cominciare i loro Sacramentari dalla festa del Natale, seguivano in questo la primitiva tradizione liturgica, la quale sino al iv secolo non conosceva ancora un periodo di quattro o sei domeniche di preparazione a questa massima tra le solennità.

Fu verso la metà del v secolo, quando pel contraccolpo delle eresie cristologiche di Nestorio la commemorazione natalizia del Salvatore salì a grande celebrità, che a Ravenna, nelle Gallie e nella Spagna cominciò ad apparire nella liturgia un ciclo speciale di preparazione al Natale. La polemica contro Nestorio ed Eutiche, e i grandi concili d’Efeso e di Calcedonia dove fu solennemente proclamato il dogma delle due nature divina ed umana nell’unica persona del Signore Gesù, e dove per conseguenza furono esaltate le glorie e le prerogative della Theotocos, diedero un vigoroso impulso alla pietà cattolica verso il mistero dell’Incarnazione, che ritrovò in san Leone Magno e in san Pier Crisologo i predicatori più efficaci ed entusiasti di quel mistero di Redenzione.

Il Sacramentario Leoniano essendo mutilo in principio, non può attestarci nulla circa le prime origini dell’Avvento liturgico a Roma; ma è probabile che il rito della metropoli pontificia anche in questo punto fosse sostanzialmente identico a quello di Napoli e della suffraganea Ravenna, ove il Crisologo – se pure non gli spetta la paternità delle collette d’Avvento del famoso rotolo ravennate – in quattro diverse occasioni pronunziò al popolo delle splendide omilie in preparazione alla festa di Natale.

Da molti secoli la Chiesa Romana consacra alla celebrazione dell’Avvento quattro settimane. È vero che i Sacramentari Gelasiano e Gregoriano, insieme a parecchi altri antichi lezionari, ne enumerano cinque; ma le liste lezionali di Capua e di Napoli, e l’uso dei Nestoriani che conoscono solo quattro settimane d’Avvento, depongono in favore dell’antichità della pura tradizione romana anche su questo punto.

A differenza della Quaresima, in cui predomina il concetto di penitenza e di lutto pel deicidio che va ormai consumandosi in Gerusalemme, lo spirito della sacra liturgia durante l’Avvento, al lieto annunzio della vicina liberazione – Evangelizo vobis gaudium magnum quod erit omni populo1 – è quello d’un santo entusiasmo, d’una tenera riconoscenza e d’un intenso desiderio della venuta del Verbo di Dio in tutti i cuori dei figli di Adamo. Il nostro cuore, al pari d’Abramo il quale exultavit, dice Gesù Cristo, ut videret diem meum, vidit et gavisus est2 dev’essere compreso di santo entusiasmo pel trionfo definitivo dell’umanità, la quale per mezzo dell’unione ipostatica del Cristo, viene sublimata sino al trono della Divinità.

I canti della messa, i responsori, le antifone del divin Ufficio sono perciò tutti ingemmati di Alleluia; sembra che la natura intera – come la descrive pure l’Apostolo nell’attesa della finale parusia: expectatio enim creaturae revelationem filiorum Dei expectat3 – si senta come esaltata dall’incarnazione del Verbo di Dio, il quale, dopo tanti secoli d’attesa, viene finalmente su questa terra a dare l’ultima perfezione al capolavoro delle sue mani – Instaurare omnia in Christo4. – La sacra liturgia durante questo tempo raccoglie dalle Scritture le espressioni più vigorose e meglio atte ad esprimere l’intenso desiderio e la gioia colla quale i santi Patriarchi, i Profeti e i giusti di tutto l’Antico Testamento hanno affrettato coi loro voti la discesa del Figlio di Dio. Noi non possiamo far di meglio che associarci ai loro pii sentimenti, pregando il Verbo umanato che si degni di nascere, in tutti i cuori, estendendo altresì il suo regno anche su tante regioni ove finora il suo santo Nome non è stato annunziato, ove gli abitanti dormono tuttavia nelle tenebre ed ombre di morte.

L’odierna stazione nella basilica Liberiana – ove sin dai tempi di Sisto III si venerava una riproduzione romana del santuario della Natività a Bet-lehem – sembra quasi voglia additare ai fedeli lo scopo e il vero termine di questo periodo di preparazione e di preghiera; è là che ci attende il Praesepe Domini, la culla del Verbo incarnato, la quale, mentre dimostra la verità della sua natura umana, è insieme il trono e la cattedra donde egli ci tiene le sue prime lezioni evangeliche sull’ubbidienza, povertà e mortificazione dei sensi, condannando la superbia, la sensualità e il fallace fasto del mondo.

Nell’Ordo Romanus di Cencio Camerario si attesta, che nel secolo xii il Papa quest’oggi era ancora solito di recarsi a celebrare la messa stazionale a Santa Maria Maggiore5. È probabile che tale uso risalga sino ai tempi di san Gregorio Magno, il grande riordinatore della liturgia stazionale, tanto più che parecchi antichi manoscritti delle sue opere contengono la notizia che l’odierna omilia sul Vangelo che leggesi nel Breviario fu pronunciata appunto a santa Maria Maggiore.

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1 Luc., ii, 10.
2 Ioan., viii, 56.
3 Rom., viii, 19.
4 Ephes., i, 10.
P. L., vol. LXXVIII, col. 1068.

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – II. L’inaugurazione del Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alla Settuagesima), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 109-111.

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