Amato Pietro Frutaz, Messale

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Dal latino ecclesiastico Missa, onde Missale o Liber Missalis, è il libro liturgico che contiene le formole eucologiche (letture, canti, orazioni) e le prescrizioni rituali per la celebrazione della S. Messa.

I. Origine. – La celebrazione della S. Messa nella antichità e nel medioevo era un atto essenzialmente corale, cui prendevano parte attiva ministri e cantori, ai quali erano riservati libri speciali (Sacramentario, Evangeliario, Epistolario, Graduale o Antifonario v. libri liturgici). Se le chiese cattedrali o abbaziali potevano vantare di possedere la serie completa di tali libri, non altrettanto potevano fare le chiese minori o di campagna, spesso male dotate e scarsamente officiate, e i missionari che dovevano portar seco quanto era necessario per la celebrazione, in forma ridotta, dei divini Misteri. Si venne così, per motivi economici e pratici, alla creazione del M. in cui vennero raccolte tutte di seguito le formole eucologiche occorrenti per la celebrazione della Messa.

Antesignani del M. furono i libelli Missarum contenenti il formulario parziale (orazioni e Prefazi) o completo (orazioni, letture, Prefazi, Canone) di poche Messe, preferibilmente votive o del «Commune». Tali sono, oltre la raccolta contenuta nel Sacramentario Leoniano, le cosiddette Messe gallicane di Mone, sec. vii (PL 138, 863-882); il M. irlandese di Stowe, sec. vii-ix (ed. G. F. Warner, Londra 1906, 1915); il Liber Sacramentorum di Alcuino (PL 101, 445-66; cf. le sue lettere 51 e 142

 

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[«misi chartulam missalem»]: ibid. 100, 215-16. 385) e le Messe del palinsesto di Monaco (cod. Lat. 6333, fine sec. viii, ed. A. Dold, Beuron 193o). Libretti di questo genere continuarono ad essere in uso per tutto il medioevo (cf. i cosiddetti M. di Worms e di St-Aubin con poche Messe, sec. x : Leroquais [v. bibl.], I, pp. 62-63, 74) sino ai secc. xv-xvi, epoca in cui vennero sostituiti dai M. portabili a stampa chiamati Missale itinerantium, Missale vade mecum o veni mecum, contenenti una scelta di Messe e il Canone (cf. W. Weale-H. Bohatta [v. bibl.], pp. 82-85; M. Besson [v. bibl.], I, pp. 319-32). Talvolta questi libretti furono congiunti con altri testi di utilità pratica per sacerdoti in cura d’anime, come nel tipico caso del cod. 10.127-44 della Biblioteca reale di Bruxelles, sec. viii (cf. P. de Puniet, Un abrégé ancien du Missel rom., in La vie et les arts lit., 7 [1920-21], pp. 534-42).

I primi saggi rudimentali ed imperfetti di M. propriamente detti risalgono ai secc. vii-x inoltrato con i frammenti palinsesti di Montecassino, cod. 271, fine sec. vii (ed. A. Dold, Beuron 1943); il M. di Bobbio, sec. viii (ed. E. A. Lowe, Londra 1917, 192o), adoperato probabilmente da un missionario; il caratteristico M. copiato a S. Cristina di Olona, ca. l’85o, emigrato poi nel monastero di Wessobrunn, con canti e letture inseriti nel testo delle Messe (cf. A. Dold, Geschichte eines karolingischen Plenarmissales, in Archivalische Zeitschrift, 46 [1950], pp. 40; si tratta di fogli frammentari); il Sacramentario Bergomense, sec. x (ed. P. Cagin, Solesmes 1900) primo saggio, nonostante il titolo, di M. ambrosiano; il Liber Ordinum, sec. x-xi (ed. M. Férotin, Parigi 1904) rituale, pontificale e M. mozarabico.

Per il periodo delle origini, dal sec. vii-viii fino a quasi tutto il sec. xi, la fusione dei singoli libri nel M. fu tutt’altro che omogenea, procedendo i compilatori con somma libertà e con criteri affatto personali, quasi sempre intenti a trar profitto dei Sacramentari già esistenti, che trasformarono nei modi più vari: il Sacramentario venne, p. es., legato

 

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assieme a un Graduale e un Lezionario (cf. Ebner [v. bibl.], p, 361 ; Leroquais [v. bibl.], I, pp. 64-69), oppure venne munito di un supplemento per le letture o per l’antiphonale Missarum (se ne ha un classico esempio nel cod. 1519 della Biblioteca universitaria di Bologna, sec. xii; Ebner [v. bibl.], pp. 12, 363). In altri casi sui margini o negli spazi liberi, ottenuti raschiando le parti inutili, furono trascritte le formole per completare determinate Messe (cf., p. es., Leroquais [v. bibl.], I, p. 41). L’antiphonale Missarum, con o senza neumi, spesso indicato con le sole prime parole dei singoli canti, è più frequentemente riprodotto nel corpo del Sacramentario, talvolta all’inizio di esso o delle singole Messe oppure sui margini (cf. Ebner [v. bibl.], p. 362; Leroquais [v. bibl.], I, p. xii). Le Epistole e i Vangeli, a volte pure indicati con i semplici incipit, cominciarono a figurare di preferenza nelle Messe votive o in quelle del «Commune», poi in quelle del «Temporale» e del «Santorale» (cf. Ebner [v. bibl.], pp. 362-63; Leroquais [v. bibl.], I, pp. xii-xiii). Tra i testi pubblicati si hanno caratteristici casi di Sacramentari adattati a M.: nel Vetus Missale Romanum monasticum Lateranense (ed. E. de Azevedo, Roma 1752), in uso presso il monastero dei SS. Sergio e Bacco ca. la fine del sec. xi (la prima parte recensisce le orazioni, i Prefazi e i Vangeli, la seconda, meno antica, le Epistole e l’antiphonale Missarum); nel M. di Canterbury (ed. M. Rule, Cambridge 1896), copiato ca. il 1095; nel M. di Leofrico (ed. F. E. Warren, Oxford 1883, trascritto tra il 1050 e il 1072, ecc. Il crescente uso da parte dei celebranti di recitare anche nelle Messe solenni le parti cantate dai ministri o dal coro (consuetudine in atto alla fine del sec. xi e nel sec. xii, cosa normale ca. la metà del sec. xiii), e la graduale eliminazione dei vecchi codici adattati alla meglio, come si è detto sopra, determinarono gli amanuensi a trascrivere per intero e per ordine i formulari delle singole Messe. Si ebbe allora tra la fine del sec. x e l’xi sec. il vero Missale plenarium o completum che nel sec. xii prenderà definitivamente il sopravvento sul Sacramentario, destinato a scomparire.

 

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Il sustrato dei primi M. plenari, ad eccezione dei M. ambrosiano e mozarabico, è costituito dal Sacramentario franco del sec. ix, amalgama di elementi gregoriani (in prevalenza), gelasiani e gallicani o franchi, che nel sec. xi era diffuso in tutta l’Europa non esclusa Roma (v.: carlomagno, X, riforma della liturgia; sacramentario). Su questo ceppo romano s’innestarono poi in misura varia, nel corso dei secc. elementi di carattere locale, specie nell’Ordinarium Missae, che determinarono la formazione di innumerevoli riti diocesani o monastici, con rispettivi M. plenari come i riti di Colonia, Sarum o Salisbury, Parigi, Aquileia, dei Premostratensi, Cistercensi, Domenicani, Certosini, Carmelitani per ricordare soltanto i più noti.

Pur avendo un contenuto proprio, i M. ambrosiano e mozarabico ebbero origine e sviluppo parallelo ai M. sopraddetti sino alle rispettive edizioni principes del 1475 (23 marzo per i tipi di A. Zarotte, senza titolo, Milano) e dei 15oo (Toledo, Missale mixtum [cioè plenario] secundum regulam b. Isidori dictum mozarabes).

II. Il M. della Curia. – Fra i molti M. plenari in uso nei secc. xii-xiii, quello della Curia o della Cappella papale era destinato a diventare universale. Le continue peregrinazioni della corte pontificia non solo in Italia, ma anche all’estero, costrinsero i «clerici capellae» o ad abbreviare e modificare i solenni riti papali che si svolgevano nelle basiliche romane e principalmente nella Lateranense. Da tali abbreviazioni e modifiche nacque per l’ufficiatura il Breviarium Curiae (v. breviario) e, per la Messa, il Missale Curiae, che ha molte affinità con il già ricordato Vetus Missale Romanum edito dall’Azevedo. Il tipo di questo M. si è definitivamente fissato all’epoca e per interessamento d’Innocenzo III (1198-1216). Certo è che prima del 1223 esso era completo, poiché in quell’anno s. Francesco d’Assisi ordinava ai suoi figli di conformarvisi (cf. Regola, cap. 3). Il M. della Curia del sec. xiii è noto dal cod. 100 della Biblioteca di Avignone (copiato tra il 1276 e 1288) e il cod. Ottoboniano 356

 

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della Biblioteca Vaticana (copiato tra il 1288 e il 1292), come ha egregiamente provato M. Andrieu (Le Missel de la Chapelle papale à la fin du XIIIe siècle, in Miscell. F. Ehrle [Studi e testi, 38], Roma 1924, pp. 348-76); altro testimonio di questo tipo di M. si ha nel cosiddetto «Breviario» di S. Chiara che contiene dal fol. 192r al 2o4v Messe del «Commune» e votive (cf. A. Cholat, Le Bréviaire de Ste Claire, Parigi 1904, P. 45). I due codici citati contengono soltanto le parti riservate al celebrante (orazioni, Prefazi e Canone) con numerose rubriche che riproducono l’Ordinarium della Cappella papale in conformità con  le innovazioni liturgiche di Innocenzo III (cf. M. Andrieu, Le Pontificai romain au moyen âge, II [Studi e testi, 87], Città del Vaticano 1940, pp. 4-5, 205, 309-308, 319-20), che venne poi modificato quando la Curia soggiornò a Avignone (cf. Ordo XIV del card. Giacomo Gaetani Stefaneschi).

I Francescani adottando questo M. l’adattarono alle esigenze del loro apostolato e della loro vita liturgica e gli dettero il seguente titolo: Ordo Missalis Fratrum Minorum secundum consuetudinem et usum Romanae Curiae, oppure Romanae Ecclesiae. Gregario IX pensò di estendere a tutta la Chiesa il M. così riformato, ma nulla fece al riguardo; Niccolò III nel 1277 ne ordinò invece l’accettazione a tutte le chiese dell’Urbe (cf. A. Le Carou, Le Bréviaire romain et les Frères Mineurs au XIIIe siècle, Parigi 1928, p. 213). Solo tre secoli più tardi, dopo i necessari emendamenti e aggiornamenti, s. Pio V riuscirà a farlo accettare da quasi tutte le Chiese di rito latino. Il M. della Curia, così riformato e patrocinato dal fiorente Ordine francescano e da altri religiosi, come gli Agostiniani e i Serviti, ebbe presto una larghissima diffusione in tutta l’Europa, ma ormai il suo contenuto, come quello degli altri tipi di M. plenari, essendo fissato, ad eccezione di qualche elemento locale, non ha più grande interesse per il liturgista: ai M. manoscritti dei secc. xiv-xv si rivolgono di preferenza gli studiosi d’arte, ché la

 

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loro presentazione esterna (scrittura, decorazione, legatura) raggiunge in tutti i paesi l’apice della perfezione Il M. della Curia fu tra i primi M. dati alle stampe, ove si eccettuino il Missale speciale di Costanza e il Missale abbreviatum (v. ill. supra) stampati dal Gutenberg ca. 1457 (cf. E. Misset, Un missel special de Constance, oeuvre de Gutenberg avant 1450, étude liturgique et critique, Parigi 1899, estratto dal Bibliographe moderne, 1899, n. 4; A.- Ruppel, Y. Gutenberg, sein Leben u. sein Werk, 2ª ed., Berlino, 1947, pp. 156-62). Infatti l’editio princeps fu pubblicata a Milano il 6 dic. 1474 per i tipi di Antonio Zarotte, parmense, con il titolo: Incipit Ordo Missalis secundum consuetudinem Romane Curie (riprodotta secondo l’unica copia esistente all’Ambrosiana nel vol. XVII della H. Bradshaw Society a cura di R. Lippe, Missale Romanum Mediolani, 1474, I, Londra 1899). Il contenuto è così disposto: calendario; Ordo ad faciendam aquam benedictam; Proprium de tempore; dopo il Sabato Santo segue l’Ordinarium Missae con Prefazi e Canone; Proprium sanctorum; Commune Sanctorum, Messe votive e orazioni varie; Messe per i defunti, benedizioni varie. Le rubriche sono inserite nel testo.

Le edizioni del M. della Curia si susseguirono rapidamente, come si rileva dal Weale-Bohatta ([v. bibl.], pp. 148-99), ma per mancanza di un organo centrale che ne vigilasse la genuina riproduzione, gli editori introdussero molteplici varianti, di cui alcune sostanziali, e aggiornamenti vari come si può rilevare dal confronto fatto su 15 edizioni da R. Lippe (op. cit., II, Londra 1907).

III. Il M. romano di s. Pio V. – Agli albori della riforma protestante l’anarchia nel campo dell’eucologia eucaristica latina toccava il suo acme e la stampa, anziché favorire il trionfo di un determinato tipo di M., peggiorò la situazione. Il catalogo dei M. pubblicati nelle varie diocesi prima del Concilio di Trento, redatto da Weale e Bohatta, è quanto mai istruttivo a questo riguardo. C’è di più: nei M. manoscritti o a stampa rimanevano traccie di feste popolari come quelle dei pazzi e degli asini, autentiche carnevalate. Tutto questo dava esca ai novatori per far cadere il discredito sul culto e sui libri liturgici. Una riforma s’imponeva ed era richiesta da molti; ad essa provvide in parte il Concilio di Trento nella sess. XXV, 4 dic. 1563. Però la commissione nominata dal Concilio non approdò a nulla perché i criteri dei vari membri erano troppo discordi : gli uni volevano un’assoluta uniformità eucologica per tutta la Chiesa, mentre altri sostenevano con vivacità i diritti dei riti diocesani. Siccome il Concilio volgeva al termine, fu deciso di rimettere ogni cosa al Romano Pontefice. Pio IV, che già si era interessato alla questione, ricevuti gli atti della commissione sul finire del 1563, ne chiamò a Roma ì membri e volle che altri studiosi ne facessero parte. Si cominciò con il Breviario che fu pubblicato da S. Pio V nel 1568 (v. breviario), poi si passò al M. La commissione scelta da s. Pio V non creò un nuovo M. ma ritoccò e aggiornò il M. della Curia, più volte ristampato dopo il 1474. In genere le parti essenziali del M. di s. Pio V differiscono poco da quelle dell’ed. del 1474, anzi talvolta ci sono le identiche varianti nei testi scritturali, come nell’Epistola della feria VI post Pascha.

Le parti più ritoccate sono: 1) le rubriche mutuate, in parte dall’Ordo Missae di Giovanni Burcardo, cerimoniere pontificio (cf. ed. di J. Wickam Legg, in Tracts on the Mass [H. Bradshaw Society, XXVII], Londra 1904, pp. 528-74; in nota [pp. 249-511] sono indicate le parti inserite nel M. di s. Pio V), pubblicato a Roma nel 15o2, ma già riprodotto nel M. romano stampato a Venezia nel 1501; 2) il «Santorale» concordato per i santi che vi dovevano figurare e per il rito della loro festa con quello del Breviario. Il M. così riveduto fu presentato a tutte le Chiese di rito latino, con il breve Quo primum del 14 luglio 1570, come l’autentico M. romano. Nello spazio di sei mesi tutte le Chiese che non avrebbero potuto provare che le loro consuetudini nella celebrazione della Messa erano state approvate sin dal loro nascere dalla Sede Apostolica, o che almeno erano rimaste immutate negli ultimi 200 anni, vi si dovevano conformare. La maggior parte dei M. diocesani dovette in tal modo scomparire, solo rimasero in vigore quelli dei più antichi riti occidentali,

 

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come quelli di Milano, Lione, Toledo, Braga, dei Certosini, Domenicani ecc.

IV. Il M. romano dopo la riforma di s. Pio V. – Il M. di s. Pio V fu accolto generalmente con entusiasmo ed alcune diocesi che avrebbero potuto usufruire dell’eccezione prevista, come Aquileia, rinunciarono alla loro liturgia. Altre invece, pur accettando il nuovo M., conservarono parte delle loro antiche consuetudini: si ebbero così i Propri diocesani e i M. ad Romani formam o iuxta mentem Tridentini. Pio V aveva comminato pene severissime contro i futuri manipolatori del testo del M., gli editori però non si preoccuparono molto di tali sanzioni e sin dalla seconda edizione romana del 1570 vi si riscontra una correzione (inizio del Vangelo della feria III dopo la terza domenica di Quaresima: cf. Zaccaria [v. I, p. 45). Però lo scandalo più grave fu dato dagli editori di Venezia (fratelli Giunta: Zaccaria [v. bibl.], I, pp. 54-56; Weale-Bohatta [v. bibl.], p. 214), i quali nel 1596 pubblicarono un M. romano tanto ritoccato da essere posto all’Indice dei libri proibiti con decreto del 1° febbr. 16o1. Le correzioni riguardavano principalmente l’antiphonale Missarum il cui testo proveniva dalla versione latina pregeronimiana, detta Itala. Ora gli editori di Venezia si credettero autorizzati: 1) a sostituire tale venerando testo con quello della Volgata, testé pubblicato, e 2) a ritoccare pure il testo e gli inizi delle Epistole e dei Vangeli. Papa Clemente VIII intervenendo nominò a tale effetto una commissione, in cui figurano le più eminenti personalità scientifiche dell’epoca, come s. Roberto Bellarmino, Baronio e Gavanto, che ritoccò qua e là il testo di s. Pio V, specie nelle rubriche e nei testi scritturali delle letture discrepanti dalla Volgata. Clemente VIII promulgò la nuova ed. tipica del M. con il breve Cum Sanctissimum, del 7 luglio 16o4, aggravando le pene contro coloro che la ristampassero o la mettessero in vendita senza le debite licenze e garanzie di autenticità. Urbano VIII, dopo aver pubblicato una nuova edizione tipica del Breviario, si vide costretto a dare anche una nuova edizione del M. per concordare i due libri liturgici. La commissione, nominata all’uopo, ritoccò ancora le rubriche e rivide nuovamente i testi biblici delle letture per concordarli in tutto con la Volgata. Urbano VIII promulgò la nuova edizione del M. con il breve Si quid est, del 2 sett. 1634, comminando le solite pene canoniche contro i futuri contravventori. Principali contravventori furono questa volta diversi vescovi francesi inficiati di giansenismo e gallicanismo. Dalla fine del sec. xvii e nel sec. xviii ci fu principalmente in Francia una frenesia per comporre nuovi M. (i M. neo gallicani) e nuovi Breviari: si tolsero i passi non scritturali; si mutarono rubriche; si aumentarono Prefazi e Sequenze, notissimo il Prefazio per la festa di Ognissanti composto dal giansenista L.-F. Boursier (cf. P. Gué-ranger, Institutions liturgiques, II, 2ª ed., Parigi 188o, p. 33o). In Italia, il Sinodo di Pistoia (VI sess., 27 sett. 1786) si occupò della riforma del M., ma secondo lo spirito che aleggiava oltr’Alpe (cf. Atti e decreti del Concilio diocesano di Pistoia, Firenze 1786, p. 205).

Questi M. si diffusero in Francia e nelle regioni vicine per oltre un secolo; scomparvero solo in seguito alla campagna per ristabilire la liturgia romana, iniziata e sostenuta da mons. Pierre-Louis Parisis, vescovo di Langres (lettera pastorale, 15 ott. 1839) e dall’abate d. Guéranger. Questo ritorno al M. romano nelle diocesi d’oltr’Alpe, comprese quelle di Colonia, Münster e Treviri, porse il destro a Leone XIII per pubblicare una nuova edizione tipica del M. che tenesse conto di tutte le variazioni posteriori a Urbano VIII. L’edizione fu pubblicata a Ratisbona (Pustet) nel 1884. L’ultima revisione tipica del M. è dovuta al b. Pio X il quale volle riportare il Breviario e il M. ad una maggior purezza di linee (cf. la bolla Divino afflatu del 1° nov. 1911). Le norme generali per la revisione del M. e del Breviario, in attesa di una vera riforma, furono fissate dal Pontefice nel motu proprio Abhinc duos annos del 23 ott. 1913 e alla Commissione incaricata del lavoro fu ingiunto 1) di non portare altre innovazioni oltre quelle richieste dalle variazioni già introdotte nella nuova edizione tipica dei Breviario (1914) e dai decreti della S. Congregazione

 

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dei Riti; 2) di ritoccare le rubriche e non la sostanza del M. Difatti il testo del M. non fu toccato, ad eccezione di poche correzioni o aggiunte di secondaria importanza (ad es., i Prefazi di s. Giuseppe e dei defunti, prescritti il 9 apr. 1919: AAS, 11 [1919], pp. 190-91). Le rubriche furono rivedute ma non si ebbe il coraggio di rifonderle, ragione per cui le rubricae generales Missalis rimasero quelle dell’ed. tipica di Leone XIII del 1900, alle quali fanno seguito, come nel Breviario, le Additiones et variationes in rubricis Missalis ad normam bullae «Divino affiatu» et S. R. C. subsequentium decretorum. Furono ridotte le Messe votive e aggiunti i formulari delle tre Messe dei defunti per il 2 nov., concesse da Benedetto XV con il breve Incruentum Altaris sacrificium, del 10 ag. 1915 (AAS, 7 [1915], pp. 401-404). L’ed. tipica delle Messe dei defunti fu pubblicata a parte nel 1919 con il titolo Missae defunctorum ex Missali Romano desumptae. Anche il calendario fu concordato, per contenuto e rito, con quello del Breviario. L’edizione fu promulgata e dichiarata tipica da Benedetto XV con decreto della S. Congregazione dei Riti del 25 luglio 1920 (cf. L. Barin, Il M. romano riformato da Pio X e promulgato da Benedetto XV. Commento e note illustrative alle modificazioni introdotte dalla ed. tipica MCMXX, Rovigo 192o).

V. Il contenuto – 1) Documenti pontifici. Il decreto della S. Congregazione dei Riti (25 luglio 1920); i brevi già ricordati di s. Pio V, di Clemente VIII, di Urbano VIII, la bolla Divino afflatu di Pio X. 2) Il trattatello De anno et eius partibus, elementi essenziali del computo ecclesiastico con tabelle pasquali e temporarie delle feste mobili. I primi paragrafi sono stati aggiunti da Urbano VIII. 3) Il Calendario corrisponde ora esattamente al Santorale mentre nei M. manoscritti e nelle ed. anteriori a Pio V, non sempre corrispondeva. E’ uno degli elementi più antichi del M., e spessissimo serve a identificare l’origine e a determinare la data dei M. manoscritti, a seconda dei santi locali e di altre notizie che vi figurano

 

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(cf. Leroquais [v. I, pp. xvii-xix). 4) Le Rubricae generales Missalis compilate sulla base dell’Ordo Missae di Burcardo dalla commissione di s. Pio V e concordate con quelle del Breviario pubblicato nel 1568, rivedute da Clemente VIII, Urbano VIII e Leone XIII (v. rubrica). Seguono le Additiones et variationes di Pio X. 5) Il Ritus servandus in celebratione Missae, desunto dal Burcardo e il De defectibus in celebratione Missarum occurrentibus, compilazione già inserita nel M. edito a Venezia nel 1557 (cf. B. Gavanto, Thesaurus Sacrorum Rituum, ed. di G. M. Merati, I, Venezia 1769, p. 2o1). 6) La Praeparatio ad Missam, le Orationes dicendae cum sacerdos induitur sacerdotalibus paramentis e la Gratiarurn actio post Missam. Nel M. di s. Pio V c’erano soltanto i salmi con i versetti e gli oremus consueti, le altre preghiere furono inserite dopo. 7) L’Ordo incensationis con le illustrazioni competenti. 8) Il Proprium de Tempore (v. temporale) che incomincia con la prima domenica di Avvento. Tra il Sabato Santo e la domenica di Risurrezione figura l’Ordinarium Missae con i Prefazi e il Canone. 9) Il Proprium de Sanctis (v. santorale) che incomincia con il 28 nov.; nei M. manoscritti contiene spesso preziosi elementi per determinarne l’origine. 10) Il Commune sanctorum, incomincia con la vigilia di un Apostolo e termina con le Messe della Vergine. 11) Missae votivae, assai più numerose nei M. manoscritti. 12) Orationes diversae. 13) L’Ordo ad faciendam aquam benedictam, che nella editio princeps del 1474 figura all’inizio del M. 14) Le Benedictiones diversae. 15) Il Proprium sanctorum pro aliquibus locis ubi ex indulto S. Sedis concessum est. 16) Proprium diocesanum.

Bibl.: 1) Descrizioni di M. manoscritti: si tiene conto soltanto delle raccolte generali: L. Delisle, Mémoire sur d’anciens Sacramentaires, Parigi 1886 (descrive vari M.); A. Ebner, Quellen u. Forsch. zur Geschichte u. Kunstgesch. des Missale Rom. im Mittelalter. Iter Italicum, Friburgo in Br. 1896; H. Ehrensberger, Libri liturgici Bibliot. Vatic., ivi 1897; J. Köck, Handschriftl. Missalien in Steiermark, Graz 1916; Toivo Hapanen, Verzeichnis mittelalterl. Handschriftenfragmente in der Universitätsbiblioth. zu Helsingfors, I, Missalia, Helsingfors 1922 (catalogo di 369 frammenti di M. quasi tutti finlandesi dall’xi al xv sec.; resti della vandalica distruzione dei riformatori); G. Lindberg, Die schwedischen Missalien des Mittelalt., I, Berlino 1924; V. Leroquais, Les sacramentaires et missels mss. des bibliot. publ. de France, 4 voll., di cui uno di tavv., Parigi 1924 (cf. A. Wilmart, Les anciens missels de la France, in Ephem. liturg., 46 [1932], pp. 235-67): P. Radó, Libri liturgici manuscripti bibliothecarum Hungariae, Budapest 1047 (M. dal sec. xi); id., Mittelalterl. liturg. Handschr. deutscher, italien. u. französ. Herkunft in den Bibliotheken  Südosteuropas, in Miscell. liturg. in hon. L. C. Mohlberg, II, Roma 1949, pp. 349-92. Tra le collezioni nelle quali sono riprodotti antichi M., si devono segnalare quelle della Surtees Society, della Henry Bradshaw Society, dei Texte und Arbeiten di Beuron (per i testi palinsesti). 2) Per i M. stampati : F. A. Zaccaria, Bibliotheca ritualis, I, Roma 1776, pp. 49-76, cf. in specie 52-55; W. H. J. Weale – H. Bohatta, Bibliographia liturgica. Catal. Missalium ritus lat. ab a. MCCCCLXXIV impressorum, Londra 1928 (con ricca bibl. a pp. xvi-xxxii; non tutte le notizie sono però attendibili); M. Besson, L’Eglise et l’imprimerie dans les anciens diocèses de Lausanne et de Genève jusqu’en 1525, I, Ginevra 1937, pp. 193-332 (rettifica il Weale-Bohatta). 3) Letteratura: mancando ancora una storia completa del M., si ricordano, oltre i capitoli di sintesi sull’origine del M. dell’Ebner, pp. 359-454, e l’introduzione del Leroquais, I, pp. xii-xvii, i seguenti saggi: J. Baudot, Le Missel plénier, 2 voll., Parigi 1912; D. Buenner, La formation du Missel rom., in La vie et les arts liturg., nov. 1919, apr. e luglio 1920 (cf. La Scuola cattolica, 22 [1922], pp. 201-15, 360-73); L. Barin, Storia del M. rom. dalle più remote sue origini alla ed. tipica MCMXX, Rovigo 192o; E. Bishop-A. Wilmart, Le génie du rit romain, Parigi [1921]; H. Grisar, Das Missale in Lichte der röm. Stadtgesch., Friburgo in Br. 1925; Bohatta, Liturgische Drucke und liturgische Drucker, Ratisbona [1926]; P. Batiffol, Leçons sur la Messe, Parigi 1927, pp. 1-10; J. B. Ferreres, Hist. de Misal rom., Barcellona 1929 (la parte migliore dell’opera è la descrizione di M. manoscr., esistenti in alcune biblioteche spagnole, pp. xviii-cxix); F. Cabrol, Les livres de la liturgie lat., Parigi 1930; id., Missel e Missel rom., in DACL, XI, 11 (1934), coll. 1431-68, 1468-94; A. Baumstark, Missale Rom., Eindhoven-Nimega 1930; R.-J. Hesbert, Antiphonale Missarum sextuplex, Bruxelles 1935; Ph. Oppenheim, Instit. systematico-histor. in sacram liturgiam, IV, Torino 1940, pp. 55-62 e passim (cf. indice s. v.); E. Bourque, Etude sur les Sacramentaires romains, Città del Vaticano 1948; P. Bruylants, Les oraisons du Missel Romain. Texte et histoire, 2 voll., Abbaye de Mont-César-Louvain 1952 (importante lavoro sulla genesi

 

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e l’evoluzione dell’eucologia romana). Per le rubriche cf. F. X. Hecht, Rubricae generales Missalis, Roma 1940 (Pro manuscripto: è in preparazione una nuova ed.). V. ambrosiana, liturgia; mozarabica, liturgia; sacramentario.

 

Cfr. A. P. Frutaz, voce Messale, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano,  Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, 1952, coll. 831-839.

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