Alfredo Ildefonso Schuster, La Veglia sacra di Pentecoste

LA VEGLIA SACRA DI PENTECOSTE

Il rito vigiliare della Pentecoste, giusta il tipo originario romano, constava, come nella notte pasquale, di dodici lezioni scritturali. Queste venivano ripetute tanto in greco che in latino, ed erano intercalate dal canto delle Odi profetiche e delle collette pontificali. San Gregorio però ridusse le letture soltanto a sei, il qual numero fu conservato intatto, anche quando, nel secolo viii, in seguito alle influenze del Sacramentario Gelasiano ritornato a Roma con onore durante il periodo franco, le lezioni della grande vigilia di Pasqua furono nuovamente riportate al primitivo numero simbolico di dodici.

La prima lezione di questa notte corrisponde perciò alla terza della veglia pasquale e ci descrive il sacrificio d’Abramo. Isacco si offri in olocausto, ma non perdé la vita sull’ara, perché il Signore fu soddisfatto del suo pio proposito e lo costituì padre d’un popolo sterminato. Così Gesù non rimase vittima della morte nel sepolcro, ché il Padre lo richiamò a vita gloriosa il terzo giorno, e lo costituì primogenito dei redenti e capo dell’immensa famiglia. degli eletti.

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Le collette che seguono le letture sono quelle stesse del Sacramentario Gregoriano: solo però che l’ultima è fuori di luogo, giacché originariamente essa veniva recitata dopo il salmo 42, il quale così poneva termine alla vigilia propriamente detta. La colletta invece che seguiva da principio la lezione sesta di Ezechiel, è andata in disuso, per negligenza degli amanuensi.

Dopo la prima lettura il sacerdote prende la parola, e recita la colletta seguente: «O Signore, che nell’atto di fede energica praticato da Abramo, hai offerto un esempio al genere umano; ci concedi altresì di dissipare la malizia della nostra volontà, e di compiere sempre rettamente i tuoi precetti. Per il Signore, ecc.».

La seconda lezione corrisponde alla quarta della veglia di Pasqua. Il suo significato ci viene dichiarato dalla seguente splendida colletta:

Preghiera. – «O Dio, che mediante i fulgori del nuovo patto disvelasti il mistero che si celava nei prodigi compiuti negli inizi della creazione; cosicché il Mar Rosso esprime il tipo del sacro fonte, ed il popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto preannunzia il sacro mistero del popolo cristiano; deh! fa che tutte le nazioni ammesse a partecipare dei privilegi concessi già ad Israele pel merito della loro fede, siano altresì rigenerate alla dignità di tuoi figli, mercé la partecipazione del tuo divino Spirito, Per il Signore, ecc.».

La terza lezione corrisponde all’undecima della vigilia pasquale e fa da introduzione alla grande Ode del Deuteronomio, che nella Sinagoga faceva precisamente parte dell’ufficiatura sabbatica. Segue poi questa bella preghiera:

«O Dio, gloria dei tuoi fedeli e vita dei giusti, tu che per mezzo del tuo servo Mosè mediante il canto del sacro Carme ti proponesti per iscopo il nostro ammaestramento, deh! compi ora l’opera della tua misericordia verso tutti i popoli; ci concedi la vita beata, allontana da noi il terrore; affinché quello che era stato minacciato in senso di condanna, ridondi adesso in rimedio onde conseguire l’eternità. Per il Signore, ecc.».

La quarta lezione col suo cantico d’Isaia corrisponde all’ottava della vigilia pasquale.

La preghiera seguente ne illustra a meraviglia il devoto senso: «O Dio eterno ed onnipotente, che per mezzo dell’unigenito Figlio tuo dimostrasti d’essere tu stesso il coltivatore della tua Chiesa; mentre nella tua bontà, d’ogni tralcio che reca frutto nel medesimo tuo Cristo, il quale è la vera vite, tu ti prendi sollecita cura, perché fruttifichi copiosamente; deh! non permettere che le spine dei peccati ricoprano i tuoi fedeli, quelli cioè che, al pari d’un vigneto, tu trasferisti d’Egitto in grazia del fonte battesimale; affinché, santificati ed agguerriti dal tuo Spirito, rechino frutto copioso di buone opere. Per il medesimo Signore, ecc.».

La quinta lezione corrisponde alla sesta di Pasqua. Segue questa colletta: «O Dio, che per bocca dei Profeti ci hai comandato di spregiare le cose transitorie e di tener dietro alle eterne; ci concedi la forza di adempiere quanto sappiamo che tu ci hai prescritto».

La lezione sesta corrisponde alla settima di Pasqua. Segue questa graziosa colletta: «O Signore, Dio di fortezza, che risollevi ciò che è abbattuto, e dopo d’averlo risollevato lo conservi; deh! accresci il numero dei popoli che debbono essere rigenerati nel tuo santo nome; onde quanti verranno ora mondati mercé il sacro lavacro, siano sempre indirizzati al bene delle tue ispirazioni. Per il Signore, ecc.».

Quest’orazione, che ha uno spiccato carattere battesimale, da principio precedeva immediatamente il canto delle litanie che si eseguiva «discendendo» in processione al battistero. Diciamo discendendo, giacché tale è la terminologia della rubrica conservata tuttavia nel messale. Quanto poi alla sua origine primitiva, giova ricordarlo: giacché il battistero lateranense ed il vaticano erano più o meno al medesimo livello delle due basiliche, è possibile che questo discendere debba forse originariamente riferirsi a qualche battistero cimiteriale, per esempio, nel cimitero di Priscilla, dove realmente si sono ritrovati parecchi battisteri sotterranei.

 

Alla processione verso il Battistero.

Discendendo al fonte Battesimale si canta come nella vigilia pasquale, il salmo 41: «Siccome cervo, ecc.» pag. 63.

[«Come il cervo anela alla fonte d’acqua, così l’anima mia è sitibonda di te, o Signore».

v). «L’anima mia è assetata del Dio vivente; quando anderò e comparirò innanzi a Dio?».

v). «Le lagrime furono di giorno e di notte il mio cibo, mentre mi si ripeteva continuamente: dov’è il tuo Dio?».]

Discesi al fonte, si procede alla sua benedizione.

v). «Il Signore sia con voi».
r). «E col tuo spirito».
v). «Preghiamo».
Preghiera. – «Fa, o Signore Onnipotente, che celebrando noi ora la solennità in cui ci fu concesso in dono lo Spirito Santo, accesi da celesti desideri, accorriamo, sitibondi, al fonte della eterna vita. Per il Signore, ecc.».

L’anafora consacratoria delle acque battesimali, le cerimonie, i riti dell’iniziazione cristiana, tutto è conforme alla veglia pasquale.

Dopo il battesimo si risale nella basilica a celebrare la messa vigiliare. Essa è priva d’introito. L’antico inno mattutinale: gloria in excelsis segue immediatamente la litania, la quale termina questa notte l’ufficio notturno, e viene così ad essere riportata alla sua funzione primitiva, che era appunto quella di servire da canto di transizione, tra la Vigilia notturna e il divin Sacrificio.

La preghiera è di carattere battesimale: «Risplenda su di noi, o Dio onnipotente, il tuo fulgore, e lo Spirito Santo rischiari col raggio del tuo lume i cuori di coloro che testé sono stati rigenerati alla tua grazia». – Questo lume è la fede, sono i carismi interiori dello Spirito Santo, il quale praticamente ci dà il senso delle cose di Dio.

Segue la narrazione (Act. xix, 1·8) del battesimo e della cresima amministrata dall’Apostolo in Efeso a dodici degli antichi discepoli di Giovanni Battista.

E’ a notarsi, giusta i migliori esegeti, che il battesimo amministrato nel nome di Gesù, come si esprime talvolta san Luca negli Atti degli Apostoli, non indica necessariamente che gli Apostoli – in virtù d’un privilegio personale, siccome ha pensato san Tommaso – amministrassero il Sacramento della rigenerazione non ritenendo della formola trinitaria insegnata loro dal divin Maestro, che il solo
nome di Gesù; ma vuol solo significare che in opposizione al battesimo di Giovanni, il battesimo colla formola trinitaria è precisamente quello istituito da Gesù, e che c’incorpora spiritualmente a lui.

S’invoca la Santissima Trinità nel Battesimo, a denotare che, in grazia di questo Sacramento, il divin Padre ci eleva alla dignità di suoi figliuoli d’adozione; Gesù ci unisce cosi intimamente a sé, che diveniamo mistiche membra del suo stesso corpo; lo Spirito Santo poi discende in noi e ci comunica la vita divina quale conviensi ai figli di Dio, ai fratelli di Gesù, ed alle membra del suo corpo mistico.
Il culto perfetto della Santissima Trinità è dunque la prima conseguenza dell’iniziazione cristiana, ed ecco perché subito dopo l’ottava di Pentecoste la sacra liturgia celebra una festa solenne in onore dell’Augustissima Triade, il mistero centrale di tutta la teologia cristiana.

Segue il salmo alleluiatico 106, come per la veglia pasquale.

Al Vangelo non si recano i soliti candelabri, perché la cerimonia si svolgeva di notte, quando l’ambone era tuttavia rischiarato dal grande cereo (Eucharistia lucernaris), benedetto ed acceso dal diacono al tramontare del sole del sabato precedente, allorché incominciava l’ufficio vigiliare. L’uso deriva dalla Sinagoga, ed è stato descritto altrove. Oltre i Greci, anche gli Ambrosiani ed il clero mozarabico di Toledo conservano tuttavia l’ufficio del lucernario, il quale precede quotidianamente il canto del vespero.

Il Vangelo (Giov. xiv, 15-21) è tutto sulla venuta dello Spirito Santo, e sull’ufficio suo di consolatore e di maestro delle anime nella via della verità. Gesù chiama il Paraclito Spirito di Verità, ad indicare che egli non solo procede dal Padre, ma procede altresì dal Verbo, la verità del Padre, il quale dice perfettamente il Padre; tanto che san Luca, negli Atti degli Apostoli, lo chiama semplicemente lo Spirito di Gesù. E’ noto che i Greci scismatici negano questa processione d’amore del Paraclito dal Padre e dal Figlio, come da un unico principio spirante, il che è contro il manifesto insegnamento del Vangelo – Egli riceverà del mio – e dei Santi Padri così orientali come occidentali. La Chiesa per più secoli mise in opera ogni mezzo, concilii ecumenici, apologisti, legazioni, per richiamare i Greci all’unità cattolica, ma tutto fu invano. Quando però il peccato contro lo Spirito Santo raggiunse la sua ultima misura, la giustizia di Dio non tardò a colpire la Chiesa e l’impero bizantino. Il giorno di Pentecoste del 1453 l’esercito di Maometto II penetrò a Costantinopoli, e vi trucidava l’imperatore, il patriarca, il clero e gran numero di popolo affollato in Santa Sofia. Riempita di stragi quella splendida basilica giustinianea, che per circa nove secoli fu testimone di tante perfidie contro la fede cattolica, venne convertita in una moschea turca.

Nell’anafora, giusto l’uso tradizionale romano, s’inserisce la commemorazione dell’odierna festa, che si ripete pure durante l’intera ottava di Pentecoste. «Gesù, asceso che fu al più alto dei cieli ed assiso alla tua destra, in questo giorno diffuse sopra i tuoi figli di adozione quello Spirito divino che Egli aveva loro promesso. Laonde ne esulta e tripudia l’intera umanità, sparsa su tutta la faccia del globo».

E la terra se giubila, ne ha ben ragione. E’ appunto lo Spirito Santo quello che trasmuta intrinsecamente ed eleva il Cristiano alla dignità di Figlio di Dio. Egli, il fedele, è tale, non per una imputazione giuridica ed esterna, come è l’adozione fra gli uomini, ma perché Dio gli partecipa la propria vita, la propria santità per mezzo del suo stesso divino spirito.

Anche all’inizio dei dittici Apostolici si fa menzione del mistero della Pentecoste: «Celebrando noi il giorno sacratissimo di Pentecoste, nel quale lo Spirito Santo apparve sugli Apostoli in forma di innumerevoli fiammelle … ».

Nella preghiera sacerdotale che raccomanda a Dio gli oblatori e pone termine alla prima parte dei dittici, – prius ergo oblationes commendandae sunt, scrisse papa Innocenzo I nella famosa lettera a Decenzio di Gubbio – si fa memoria dei neofiti ammessi questa notte al battesimo ed alla confermazione, e che conseguentemente nella messa dovranno partecipare per la prima volta della Sacra Eucaristia: «Noi ti offriamo quest’oblazione del nostro sacerdozio a nome ancora del tuo popolo Santo, e particolarmente di coloro che ti sei degnato di rigenerare nell’acqua battesimale e nello Spirito Santo, accordando loro il perdono di tutti i peccati … ».

Il verso offertoriale è derivato dal salmo 103: «Tu invierai il tuo Spirito, ed essi saranno tratti all’essere. Tu allora rinnoverai la faccia della terra. Sia gloria al Signore per tutti i secoli».

La creazione non meno della redenzione è un atto di amore da parte di Dio, ed in questo senso si attribuisce allo Spirito Santo, che appunto la Genesi descrive aleggiante sulle acque caotiche. Era Dio, che amando fecondava questa materia primordiale, e ne traeva i vari gradi delle creature. Nel Testamento Nuovo poi la venuta dello Spirito Santo ha dato anima al corpo della Chiesa, la quale cosi ha potuto iniziare la sua missione in continuazione di quella di Gesù.

Nella colletta sulle oblate oggi supplichiamo il Signore a gradirle, e pei meriti del Sacrificio lo supplichiamo a purificare col fuoco del Paraclito il cuore nostro da tutte le sozzure del vizio. Il Paraclito è amore, ed al fuoco dell’amore tutto si distrugge; onde disse Gesù di Maria di Magdala: «Siccome ha amato molto, le viene altresì perdonato molto».

L’antifona della Comunione è assai bene appropriata alla circostanza. Il grido di Gesù nell’ultimo giorno della solennità dei Tabernacoli, quando cioè i sacerdoti andavano ad attingere l’acqua alla fonte di Siloe, viene ripetuto oggi che appunto ricorre l’estrema festa del ciclo pasquale. L’acqua della grazia, di cui discorre qui Gesù, simboleggia lo Spirito Santo, e più particolarmente le onde battesimali da lui fecondate. E’ questa la cagione per cui la Chiesa latina amministra solennemente il battesimo anche nella Vigilia di Pentecoste.

Nella colletta dopo la Comunione supplichiamo il Signore che il suo Spirito venga a purificare coi suoi ardori di amore, di penitenza e di fervido zelo le nostre macchie. Né ci devono spaventare queste fiamme destinate a corrodere il vizio e a purificare lo spirito. Il Paraclito ce le rende dolci, perché al tempo stesso ci dà il dolce refrigerio della rugiada delle sue consolazioni. Quella rugiada interiore che feconda i fiori e i frutti santi.

 

Cfr. A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano – IV. Il Battesimo nello Spirito e nel fuoco (La Sacra Liturgia durante il ciclo Pasquale), Torino-Roma, Marietti, 1930, pp. 147-152.

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