Pietro Siffrin, Orazione

ORAZIONE (liturgia). – Qui il termine o. è preso nel significato preciso, che assume nella liturgia la preghiera recitata dall’officiante (vescovo o sacerdote) come interprete presso Dio dei sentimenti di lode, di supplica, di adorazione, comuni a tutti i fedeli, indirizzati a lui in loro nome.

Prima, queste o. erano composte dall’officiante stesso (Giustino, Apol., I, 67); ma già nei primi secoli se ne notarono, raccolsero e ripeterono parecchie, ben composte (p. es., Didaché, Eucologion di Serapione, Sacramentari romani). In seguito, l’o. si specificò nelle 4 o. della Messa: la 1ª, detta Colletta, prima delle letture; la 2ª, all’Offerta dei doni (Super oblata, Secreta), la 3ª, dopo la Comunione (Postcommunio, Ad complendum) la 4ª, recitata sul popolo (Super populum), e infine il termine o. si restrinse specialmente alla prima, l’oratio per eccellenza.

I caratteri specifici dell’o., specialmente nella Colletta, sono: 1) di essere una supplica, riserbando la lode e il ringraziamento alle altre o. eucaristiche; questa supplica si tiene sulle generali e non discende mai troppo al minuto e quando si accenna all’intercessione dei santi od a qualche mistero, ciò avviene unicamente per appoggiare la nostra preghiera; 2) una supplica universale: cioè o. di tutti e per tutti, per un bene di tutta la comunità; il che si manifesta nel soggetto «noi» («quaesumus», «preces nostras»), nell’oggetto («ut … serviamus», «ut … vivere valeamus»); 3) una supplica assolutamente spirituale nelle sue domande; si domandano sempre beni spirituali e soprannaturali («sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus aeterna» [domenica 3ª di Pentecoste]).

Secondo un principio liturgico tutte le o. vengono indirizzate a Dio, cioè al Padre, interponendo la mediazione di Cristo (I Pt. 4, 11; I Clem., 61; Tertulliano, Adv. Marcion., IV, 9). Il Concilio di Ippona, nel 393, precisa che «cum altari assistitur, semper ad Patrem dirigatur oratio». Nella liturgia romana sono rivolte a Dio Padre quasi tutte le o., provenienti dal periodo classico dei Sacramentari cosiddetti leoniano, gelasiano e gregoriano (e in origine anche le o. dell’Avvento); mentre nella liturgia gallicana le o. si rivolgono sovente al Figlio, facendo precedere alla finale la clausola «Salvator mundi». Nel Messale, Breviario, Pontificale e Rituale romano si trovano ca. 50 o. rivolte al Figlio, una sola allo Spirito Santo (nella benedizione dell’abate), ma sono tutte di origine medievale o moderna, posteriori, cioè al sec. xvi; mentre la Colletta ed il Postcommunio della Messa del «Corpus Domini», del sec. xiii, costituiscono le prime eccezioni. Nella conclusione caratteristica romana «Per Dominum … » furono aggiunte più tardi le due apposizioni «Filium tuum» e «Deus», per accentuare la divinità di Cristo.

Nella forma letteraria delle Collette si distinguono un tipo semplice e un tipo più complesso. Il tipo più semplice, ed anche più antico, esprime l’oggetto sostanziale o con forme verbali Concede … , Da nobis … , Exaudi … , Praesta … , o con un sostantivo designante la grazia richiesta Auxilium … , Gratiam … Questo tipo occorre anche nelle Secreta e nei Postcommunio. Caratteristico della Secreta è di cominciare la formola con una parola allusiva all’offerta dei doni. Accepta … , Accipe … , Haec hostia … , Haec oblatio … , Haec sacrificia … , Munera … Similmente i Postcommunio riferiscono il frasario della Comunione. Haec communio … , Refecerunt … , Sacramenta … , Sumpta. Lo schema del tipo più complesso comprende quattro parti o suddivisioni: a) un’allocuzione a Dio, apponendovi attributi (omnipotens, sempiterne, Deus) o un’intera proposizione predicativa (Deus qui abundantia pietatis tuae); b) un’invocazione (Concede … , Praesta … , Respice …), con aggiunto quaesumus; c) una domanda (ut … ); d) la motivazione della domanda (Per Dominum …). Questo tipo più complesso è proprio delle Collette, non occorre mai nelle Secreta o nei Postcommunio. L’invocazione a Dio con l’aggiunta predicativa qui … viene usata specialmente nei giorni commemorativi o festivi sia del Signore, sia dei Santi. Si può dividere l’o. anche in due parti: preludio e tema, o invocazione e petizione, più o meno ampiamente o brevemente svolte. Il preludio comprende l’indirizzo con l’ampliamento, cioè il fondamento della nostra domanda; il tema contiene la domanda stessa (Preludio: Deus qui nos in tantis periculis … non posse substinere, tema: da nobis … ut … vincamus). L’invocazione può precedere la petizione, ma anche seguirla (Excita … Largire …). Altre particolarità delle antiche o. classiche sono la conveniente disposizione dei vari membri, ben proporzionati fra loro e arricchiti di complementi, di parallelismi e di antitesi, e l’eufonia basata sull’euritmia delle clausole, sia incidentali che finali, sulle successioni armoniche di parole e di sillabe, cioè nell’uso del «cursus», In tal modo, le Collette romane mostrano in generale un carattere di sobrietà e d’eleganza.

Bibl.: J. A. Jungmann, Die Stellung Christi im liturg. Gebet, Münster 1925, pp.
102-107, 186-87; J. Cochez, La structure rythmique des oraisons (Cours … Semaines liturg., VI), Lovanio 1927, pp. 139-50; P. Alfonso, L’Eucologia rom. antica. Lineamenti stilistici e storici, Subiaco 1931; P. Salmon, Les protocolles des oraisons du Missel romain, in Eph. lit., 45 (1931), pp. 140-47; H. Rheinfelder, Zum Stil der latein. Orationen, in Jahrb. für Liturgiewissensch., 11 (1931), pp. 20-34; O. Casel, Beiträge zu röm. Orationen, ibid., pp. 35-45; G. De Stefani, La S. Messa nella lit. rom., Torino 1935, pp. 429-42; M. G. Haessly, Rhetoric in the Sunday Collects of the Roman Missal, Saint Louis 1938; P. Alfonso, I riti della Chiesa, III, Roma 1945, pp. 40-44; G. Brinktrine, La S. Messa, ivi 1945, pp. 75-81; J. A. Jungmann, Missarum Sollemnia, I, Vienna 1949, pp. 460-74; M. Righetti, Man. di st. lit., I, Milano 1950, pp. 202-209; F. Di Capua, Cursus, in Enc. Catt., IV, coll. 1083-92.                          Pietro Siffrin

 

Cfr. Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il Libro Cattolico, 1952, coll. 212-214.

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