Carlo Belli, Dieci anni

                                                                          Questi nemici della divina Rivelazione, che esaltano con altissime lodi
l’umano  progresso, vorrebbero con sacrilego ardimento introdurlo nel-
la religione cattolica, quasi che la stessa religione non fosse opera di Dio,
ma degli uomini.

                                                                                                                                                       Pio ix («Qui pluribus»)          

 

La esaltazione del materialismo assunta in questi anni come mito dai politologi, figli del funesto pragmatismo fin di secolo, ha scosso e dirotto non poche istituzioni che erano alla base della società. I risultati li abbiamo sott’occhio.

Non si poteva tuttavia supporre che questo moto sismico dovesse ripercuotersi anche nell’area posta, per sua natura, all’esterno di ogni contaminazione, ossia nella sfera della Trascendenza, di cui è madre e tutrice la Chiesa. Proclamata frettolosamente, dopo la morte di Pio XII, la necessità di un “adeguamento” all’andar dei tempi, si giunse anche nell’ambito della Chiesa a una politica di cose che dava credito alle “aperture sociali”, alla “validità dei colloqui”, al “revisionismo strutturale”, premesse fin troppo chiare di un rivolgimento totale se non proprio della Religione, di per sé immutabile, del modo di concepirla e di riceverla da parte dei fedeli, e quindi a una demolizione delle sue radici cultuali che per quasi duemila anni le avevano recato linfa vitale.

Il lato conturbante di questo fenomeno era dato dalla singolarità che gli apostoli del materialismo, o del nuovo pragmatismo, non provenivano più dal laicato agnostico o ateo, bensì dalle file degli stessi chierici. Nel fanatismo impetuoso che caratterizza sempre la prima fase di ogni rivolgimento, vescovi e cardinali, monsignori e badesse, stravolti dal vento del nuovo modernismo, anziché auspicare che la società si adeguasse agli eterni insegnamenti della Chiesa, predicarono che la stessa Chiesa aveva il dovere di adeguarsi all’andar dei tempi, rifiutando, in tal modo, di comprendere che questa contaminatio si poneva come irrazionale, ancor prima di essere sacrilega. In altre parole, non si volle capire che con l’ “adeguamento” la Chiesa perdeva coscienza di sé, diventando categoria opinabile, un blocco come un altro di convinzioni, anziché rimanere caposaldo teologico, punto di orientamento non transeunte per il tragitto che l’uomo compie sulla terra. Adeguare la Chiesa al mondo, significava confondere la sostanza con l’accidente, trascinare un principio immutabile nella giostra delle contingenze, strada in fondo alla quale si trova quel tipo di razionalismo per il quale Dio non è Dio, ma piuttosto la idea che l’uomo si è fabbricata di Dio.

Diffuso quel principio, cominciarono presto le innovazioni demitizzanti e dissacratorie che ebbero come primi effetti pratici il massacro della liturgia latino-gregoriana e la conseguente demolizione della Messa codificata dal Concilio dogmatico di Trento. Ne discesero presto le teologie della morte di Dio e della morale permissiva, origine della incredibile formula rahneriana per cui l’antropologia è il luogo che include tutta la teologia. A tali eccessi non era giunto nemmeno il più acceso materialismo storico dell’Ottocento, quando al Congresso di Gottinga si stabilì che il pensiero altro non era che una secrezione glandulare del cervello.

Il rumore mondano suscitato dal nuovo cataclisma, finì per coinvolgere e stravolgere anche coscienze che si ritenevano ben agguerrite contro ogni pericolo di smarrimento. Si ebbe, come sempre accade, la corsa verso la parte trionfante, e le minoranze, rimaste sensibili ai mòniti della Tradizione, dovettero assistere al folle abbattimento dell’edificio eretto in duecento secoli di storia.

In verità, bastarono meno di quattro anni per eliminare il latino, lingua universale della Chiesa universale, e sostituirlo con traduzioni vernacole, non di rado intenzionalmente tradite. Il canto codificato da Gregorio, espressione spirituale che risaliva ai primordi del Cristianesimo, e nel quale si riconoscevano come in una sola voce i cattolici di tutto il mondo, fu umiliato con la sostituzione di cantilene, spesso di una banalità provocatoria, quando non addirittura da gargarismi tribali. Al macero libri sacri che vantavano una compilazione teologica costantemente affinata da rigore scientifico, e non si sa quale angelo abbia arrestato la mano di chi avrebbe voluto introdurre nel nuovo catechismo per ragazzi, un capitolo sulla profilassi sessuale.

Lungi dal produrre il successo mondano che i rivoluzionari si attendevano, queste innovazioni, di cui non intendiamo illustrare qui la natura intrinsecamente sacrilega, provocavano un progressivo assopimento delle fedi, un generale scetticismo degli animi e una preoccupante vacanza di vocazioni. Il mistero della Fede, ferito nel suo celeste incanto, cedeva il posto a grigio squallore.

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Noi sappiamo a quali fonti si può far risalire la responsabilità di questo sconvolgimento. A parte i precedenti storici, la maggiore di esse può essere assegnata a quel Consilium ad exsequendam Constìtutionem de Sacra Liturgia, creato per curare la retta attuazione delle norme fissate dal Concilio Vaticano II. E che mai doveva significare questa “retta attuazione” se non la interpretazione fedele delle tesi studiate e proposte dai Padri conciliari? Esse vennero invece deformate, o intese alla rovescia, o riproposte con enunciazioni equivoche, e in questa manomissione non casuale, il diabolus interpolator ebbe il suo gran lavoro, rendendo pressoché irriconoscibili le disposizioni delle quattro Costituzioni, in modo da capovolgere, con lusinghe o nascosti interventi, le coscienze dei cattolici, smantellando le fortezze dentro alle quali si sentivano protetti. Un vero e proprio falso in atto.

A così impressionante effrazione degli istituti secolari della Tradizione, “Una Voce”, in Italia – come ovunque nel mondo, dove frattanto era sorta – oppose sùbito un’azione intesa al contenimento degli argini e al recupero di quanto si andava perdendo. Cominciò la sua battaglia soprattutto contro il nuovo conformismo, vòlto a sottrarre il sentimento soprannaturale del culto divino, e a modellarlo sulla impronta di un protestantesimo positivistico, per assecondare da una parte il trionfante materialismo, dall’altra un ecumenismo di tipo dilettantesco, particolarmente gradito ai componenti radicali del nuovo clero.

“Una Voce” si era costituita all’Estero, nel 1965. Pochi mesi dopo, rispondendo a un tempestivo e fervoroso appello della scrittrice Cristina Campo, si ebbe un forte reclutamento tra artisti e intellettuali, anche in Italia. Dalla piazzetta solitaria di Sant’Anselmo, sull’Aventino, dove Cristina Campo abitava, partirono bordate di lettere, dichiarazioni, manifesti, contenenti ferratissime contestazioni al “nuovo corso”, imposto con un vero e proprio terrorismo ideologico dagli sprovveduti animatori della cosidetta riforma liturgica. Si dice a ragion veduta “ferratissime contestazioni”, perché i componenti di quel primo nucleo di “Una Voce” avevano avuto cura di circondarsi di teologi, liturgisti e canonisti di chiara fama, percossi non meno di essi, dai colpi selvaggi che in quegli anni il fanatismo riformista menava indiscriminatamente contro ogni dato della Tradizione. Più tardi si redasse una Lettera a Paolo VI che fu tradotta in molte lingue e diffusa nel mondo. Il Pontefice rispose, inviando all’Associazione la sua Benedizione.

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Giuridicamente, “Una Voce-Italia”, venne costituita il 7 giugno 1966, presso il notaio Aurelio Cinque in Roma, all’Esquilino. Chi scrive ricorda ancora il luminoso pomeriggio che si godeva dalla finestra di quello studio, prospiciente il complesso architettonico di Santa Maria Maggiore: in un cielo tipicamente romano, stormi di rondini si rincorrevano stridendo e saettando attorno alle cupole azzurrine della basilica. Erano lì, Cristina Campo, il duca Filippo Caffarelli, il professore Guerino Pacitti, il sottoscritto, e, se ben ricordo, un illustre monsignore, forbitissimo scrittore.

Fummo in grado di consegnare al notaio lo schema di uno Statuto che contemplava anzitutto la ragione stessa di quel nostro associarsi, ragione che veniva così notarilmente stilata: ” … associazione che ha il compito di difendere la lingua e la musica tradizionale nella liturgia della Chiesa Romana e fuori di essa, in piena conformità con le costituzioni liturgiche e conciliari”. Le cariche vennero così distribuite: Caffarelli, presidente; Belli e Pacitti consiglieri; tesoriere Sacchetti; vicepresidente: il poeta Eugenio Montale. Con il contributo generoso di alcuni simpatizzanti e con le quote sùbito versate da molti aderenti, fummo in grado di porre la sede in un lussuoso appartamento di Corso Vittorio. Là dentro, fu redatto tra l’altro, il “Breve Esame critico” sul nuovo Ordo Missae, compilato con lungo, attentissimo studio da una équipe di celeberrimi competenti, e presentato al Papa dai cardinali Bacci e Ottaviani; atto che fu, è, e rimane il documento contenente i prolegomeni a ogni futura critica della riforma religiosa. Diffuso in tutto il mondo cattolico, è ancor oggi assunto come testo illuminante negli studi che riguardano l’argomento. In Corso Vittorio, fu sùbito creata anche quella Scuola di Canto Gregoriano che ormai è conosciuta tra le migliori e presta da dieci anni la propria opera nei sacri offici, a Roma e in altre città, secondo le prescrizioni del Concilio (Cost. S. C., 11, 6). Furono poi gettate le basi per la costituzione di nostri nuclei in tutta Italia, e Bologna fu la Sezione primigenia.

Conferenze, concerti, riunioni formative, pubblicazioni periodiche e d’occasione, continuarono e s’intensificarono quando la sede fu trasportata in via del Tritone. Venne svolta, una intensa attività a latere di un impegno tenacemente mantenuto: la celebrazione della Messa di S. Pio V. Non sono mancati durante i primi anni della persecuzione momenti difficili, ma possiamo dire che la fede in tempi migliori che ci ha sempre sostenuto, è stata premiata. E’ umano che un vento di follia scuota ogni tanto lo spirito e la ragione che è in noi. Ciò è sempre accaduto. Poi, il pensiero, illuminato da un raggio superiore, ritrova sempre se stesso, e si fortifica per una nuova avanzata verso la Conoscenza suprema. Noi avvertiamo questi sintomi pure nell’aria inquinata che respiriamo: una profonda esigenza metafisica trema nelle coscienze degli stessi materialisti, che tanto danno hanno recato al mondo. Si sta facendo strada anche presso l’Autorità religiosa, e nonostante recenti moniti e condanne più o meno pertinenti, un vigoroso ripensamento di cose sperimentate; e quanto ai riformatori che in veste di rivoluzionari hanno sconvolto l’edificio della Chiesa, le loro figure sono già cancellate dalla nostra memoria. Non furono che dei mediocri, ormai travolti da un nuovo avvento di certezze divine e di speranze umane. Gli errori passano. La volontà di Dio rimane.

Carlo Belli

Cfr. «Una Voce Notiziario», 30-31, 1976, pp. 1-4

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