Perché UNA VOCE

In occasione del 50° anniversario della fondazione di Una Voce Italia (1966-2016), riproduciamo qui l’editoriale che fu pubblicato senza firma, ma da vari indizi riconducibile alla penna di Cristina Campo, promotrice e fondatrice dell’Associazione, nel primo bollettino «Una Voce» numero unico, dicembre 1966-gennaio 1967, pp. 2-5 unavoceitalia.org. In questo testo sono mirabilmente esposte in sintesi le ragioni e gli ideali di Una Voce, più che mai validi ancor oggi. Nell’immagine che riproduce la prima pagina di questo stesso bollettino vi sono i nomi del primo Consiglio direttivo – che comprende nomi come Eugenio Montale, Giovanni Macchia, Guerino Pacitti, Gaspare Barbiellini Amidei, Carlo Belli – e del Comitato d’onore.

Una Voce numero unico 1966-1967, p. 1

Ai nostri lettori

     Denuntiamus autem  vobis, fratres, in nomine
Domini Nostri Jesu Christi, ut subtrahatis vos ab
omni fratre ambulante inordinate et non secundum
traditionem quam acceperunt a nobis.

II Tess. 3, 6.

Il Concilio Vaticano II, con la Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, ha stabilito con una precisa e inequivoca norma generale (art. 36, 1) la conservazione dell’uso della lingua latina nelle azioni liturgiche (S. Messa, Ufficio Divino ed altre funzioni). La stessa Costituzione ha confermato altresì il primato del canto gregoriano nei sacri riti (art. 116: «Ecclesia cantum gregorianum agnoscit ut liturgiae romanae proprium, qui ideo … principem locum obtineat»), nonché la conservazione attiva dell’immenso patrimonio di musica sacra accumulatosi ininterrottamente lungo i secoli e custodito con gelosa e materna sollecitudine dalla Chiesa universale (art. 112: «Musica traditio Ecclesiae universae thesaurum constituit pretii inaestimabilis, inter coeteras artis expressiones excellentem … quod … integralem liturgiae solemnis partem efficit»).

La Costituzione liturgica del Vaticano II riafferma dunque un pensiero e una tradizione costanti nella Chiesa, ribadite con immutata fedeltà da tutti i Romani Pontefici, specialmente di questo secolo, da S. Pio X a Paolo VI. Basti ricordare quanto scriveva nel 50° anniversario del Pontificio Istituto di Musica Sacra Giovanni XXIII. Il Pontefice, che si apprestava ad aprire il Concilio Ecumenico, nella Lettera «Iucunda Laudatio» (8 dicembre 1961) ammoniva con forza inconsueta che bisognava assolutamente tener fede alla lingua latina «con squisita sollecitudine e secondo le norme prescritte». «Questa lingua infatti, oltre gli altri pregi che le sono propri, indissolubilmente legata com’è alle sacre melodie della Chiesa Romana, viene ad essere segno manifesto e splendido della sua unità. Lingua augusta e veneranda, materna per i figli della Chiesa, per sua stessa indole acconcia alle cadenze musicali, grave e armoniosa, modellante nelle sue parole incorruttibili tesori di verità e di pietà: accolta nella sacra liturgia in forza di un uso legittimo e ininterrotto, è necessario vi continui a mantenere quel posto sovrano che le compete per più titoli … Sarà dunque per sempre un sacro dovere che nella liturgia solenne, sia delle più illustri basiliche, sia delle più umili chiese di campagna, la lingua latina faccia valere il suo scettro regale e il suo nobile imperio».

Testi del genere, limpidi per il loro significato e indiscutibili per la loro precisa formulazione, si potrebbero moltiplicare. Chi non ricorda il lapidario enunciato di Pio XII al Congresso Internazionale di Liturgia Pastorale (Assisi, 18-20 Sett. 1956)? «Sarebbe superfluo il ricordare ancora una volti che la Chiesa ha serie ragioni per conservare fermamente nel rito latino l’obbligo incondizionato per il sacerdote celebrante di usare la lingua latina, come pure di esigere, quando il canto gregoriano accompagni le sacre funzioni, che questo si faccia nella lingua della Chiesa».

Chi creda ancora al principio di contraddizione, non sa e non può conciliare le solenni affermazioni della Costituzione Liturgica e la voce dei Romani Pontefici con quanto da un anno e mezzo avviene nella Chiesa Cattolica: la soppressione violenta e quasi generale della lingua latina e del canto gregoriano (questo «linguaggio musicale dell’adorazione»), conseguenza di un riformismo la cui furia Paolo VI non ha esitato a definire «iconoclasta» (13 Ottobre 1966).

È nata così in vari Paesi d’Europa – Francia, Austria, Belgio, Inghilterra, Scozia, Svezia. Norvegia, Germania, Svizzera, Olanda – un’Associazione che ha lo scopo di preservare il patrimonio latino-gregoriano della Chiesa cattolica, in conformità alle prescrizioni del Concilio. Essa ha nome UNA VOCE, espressione latina tratta dal Praefatio della Messa e che significa appunto «ad una voce, con una sola voce»: quella diffusa su tutta la terra, da una lingua e una musica universali.

Le varie Associazioni si sono costituite in Federazione internazionale con sede centrale in Svizzera (Beustweg 3, 8032 Zürich) e ad essa Sua Santità il Regnante Pontefice ha voluto inviare la sua Apostolica Benedizione.

In Italia questo movimento nacque tra gli amici di un Maestro italiano da poco scomparso, Guido Guerrini, appassionatamente devoto al gregoriano, del quale si volle onorare la memoria. Nacque così la nota lettera-manifesto diretta il 5 febbraio 1966 da 38 intellettuali di ogni paese, tra i quali due Premi Nobel (1), a Papa Paolo VI; lettera della quale si occupò la stampa del mondo intero e in cui si esprimeva il desiderio di veder preservata la liturgia latino-gregoriana in tutta la sua purezza almeno nelle chiese conventuali.

In seguito alla vasta eco avuta tra i fedeli da questa lettera e alle loro ansiose sollecitazioni, si decideva di creare anche in Italia una sezione di UNA VOCE.

* * *

Associazione di laici, UNA VOCE non ha che il mandato che le viene dalle convinzioni e dai propositi che animano i suoi membri. Consapevole tuttavia che il Concilio ecumenico chiama i laici con una insistenza eccezionale a partecipare alla funzione profetica di Cristo (Cfr. Lumen Gentium, n. 35) e che, d’altra parte, i pastori sono invitati e a riconoscere e a promuovere la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa, richiedendoli volentieri dei loro consigli … accordando con paterno amore l’attenzione e la considerazione che loro spetta in Cristo, alle iniziative, ai voti e desideri che propongono (Cfr. I Tess. 5, 19 et I loan., 4, 1), UNA VOCE sente il dovere di denunciare le situazioni di fatto che assolutamente non corrispondono al rinnovamento auspicato dal Concilio. Dice il Vangelo: «Se il figlio chiede a suo padre del pane, forse che questi gli porgerà delle pietre?».

Ora, il detto evangelico sembra ricevere un’aperta smentita da coloro che, partendo da principi erronei – tra cui l’inaudita intolleranza verso la lingua della Chiesa – al pane sostanzioso di una grande tradizione liturgico-musicale non si accorgono di sostituire il pietrame di «moderne invenzioni» (Paolo VI, 13 Ott. ’66) che con quella tradizione nulla hanno di comune. Come difficilmente ciò possa definirsi apostolato o invocare a propria giustificazione l’ansia pastorale, intenderà chi non abbia perso di vista l’intimo rapporto che regna tra qualità artistica ed efficacia spirituale. Secondo la parola di San Pio X, «soltanto si può pregare sul bello». Quel Pontefice fa dunque della qualità artistica una condizione essenziale perché la musica (come ogni altra espressione d’arte) possa servire l’altare.

«La musica sacra – egli dichiara nel suo Motu Proprio “Inter Sollicitudines” – deve essere santa … deve essere un’arte vera … non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni».

L’abbandono e il misconoscimento di questo canone ha causato gravissimi danni, non ha portato riscontrabile beneficio e fa soffrire un immenso numero di persone. Sia chiaro: non soffrono soltanto i musicisti, i poeti o gli studiosi; nel grande stuolo dei fedeli, infiniti ve ne sono, d’ogni età e condizione, i quali, con l’istinto sicuro e la fine intuizione che vengono da un cuore religioso e dal retaggio di un’antichissima tradizione, avvertono dolorosamente l’assurdo di certi baratti. Con lettere e offerte (alle quali dobbiamo di poter stampare questo bollettino) essi sollecitano UNA VOCE a farsi loro interprete nel chiedere il ritorno dei millenari splendori dei quali si nutriva la loro fede e si arricchiva la loro carità.

La Costituzione conciliare, i Sommi Pontefici Romani riconoscono loro il diritto a questa richiesta. Una pastorale veramente evangelica, non selettiva ma aperta a tutti i cattolici, non può non tenerne conto.

 

______________________

(1) Wynstan Hugh Auden, José Bergamin, Robert Bresson, Benjamin Britten, Jorge Luis Borges, Cristina Campo, Pablo Casals, Elena Croce, Fedele D’Amico, Luigi Dallapiccola, Giorgio De Chirico, Tamaro De Marinis, Augusto Del Noce, Salvador De Madariaga, Carl Theodor Dreyer, Francesco Gabrieli, Julien Green, Jorge Guillén, Hélène Kazantzakis, Lanza del Vasto, Gertrud von Le Fort, Gabriel Marcel, Jacques Maritain, François Mauriac, Eugenio Montale, Victoria Ocampo, Nino Perrotta, Goffredo Petrassi, Ildebrando Pizetti, Salvatore Quasimodo, Elsa Respighi, Augusto Roncaglia, Wally Toscanini, Philip Toynbee, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla.

Questa voce è stata pubblicata in Articoli e taggata come , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi ai segnalibri il permalink.

I commenti sono stati chiusi.